sarri sacchi

 

Differenze

 

Sarri come Sacchi? Agnelli come Berlusconi? Può darsi ma, mediaticamente, siamo ai soliti due pesi e due misure

 

Dal punto di vista storico quella della Juventus è una scelta in assoluta controtendenza rispetto alla sua tradizione. Prendere Maurizio Sarri in panchina, al posto di Massimiliano Allegri, rappresenta un cambio epocale, senza dubbio coraggioso ed altresì indicativo di un approccio diverso al calcio ed al suo modo di intenderlo, di interpretarlo, di viverlo. Con Sarri la Juventus fa una scelta prima di tutto ideologica e solo secondariamente di natura tecnica. Agnelli non ha preso un allenatore con un palmares migliore rispetto a quello di Allegri, ma ha scelto un didatta dalle notevoli conoscenze che, tuttavia, ha appena superato i 60 anni ed alla casella titoli vinti vanta soltanto un’Europa League.
Nessun trofeo nazionale quindi per il neoallenatore della Juventus. C’è però un trofeo continentale che brilla in bella mostra. Tutto questo è antitetico alla Juventus, sinora fortissima in Italia, ma incapace di dare forma e sostanza alla propria dimensione in Champions League, vittima forse di sé stessa e di una mentalità votata alla vittoria come unico parametro valutativo. Probabilmente Andrea Agnelli, nelle considerazioni e nelle valutazioni che lo hanno portato a decidere di cambiare allenatore, ha messo sulla bilancia la sconfitta subita dalla Juventus contro l’Ajax due mesi fa ed è stato costretto ad osservare che il peso specifico di quell’eliminazione andava oltre il risultato.
Si può perdere e questo non è in discussione, ma essere dominati in casa propria da una squadra di ragazzini, dopo aver speso l’impossibile in estate per assicurarsi il miglior giocatore del mondo, ti dà la sensazione molto netta di vivere di certezze fragili. Ti fa iniziare a pensare che quegli otto scudetti consecutivi sono un grande merito ma anche, nel contempo, una corsa solitaria in un deserto. Perchè se in Italia cannibalizzi la Serie A, ma da quasi un quarto di secolo non porti a casa un trofeo continentale, qualche domanda diventa più che lecita e qualche dubbio sulle certezze granitiche di una mentalità consolidata inizia a diventare pressante. Ed allora ecco Sarri ed una scelta in aperta controtendenza rispetto al motto juventino del “vincere è l’unica cosa che conta”.
In passato qualcosa di simile è già successo in casa Juventus. Andò malissimo con Maifredi, benissimo con Lippi. C’è tuttavia un aspetto che non può non essere considerato in tutta questa vicenda. Qualcuno ha azzardato il parallelo fra la scelta di Sarri da parte di Agnelli con la scelta di Sacchi da parte di Berlusconi 32 anni fa. Ci può forse stare l’accostamento nel modo di vedere il calcio e nella mentalità offensiva (Sarri d’altronde è da sempre sponsorizzato da Sacchi che è un suo grande estimatore), ma non su tutti gli altri piani. Un parallelo, anche solo ideale, è improponibile fra le due scelte per ragioni eminentemente storiche, relative al sistema calcio ed alla portata valoriale delle idee degli allenatori.

Quando Berlusconi prese Arrigo Sacchi, questi veniva dalla Serie B e non aveva mai allenato in Serie A. Non aveva già giocato in Europa o, addirittura, vinto una coppa europea come invece ha fatto Sarri. Inoltre, quando il Cavaliere scelse colui che poi venne ribattezzato il vate di Fusignano non c’era lo scetticismo attuale che alberga, comprensibilmente, sul binomio Juve-Sarri (più per una diversità ontologica, che per i dubbi sul tecnico toscano). C’era, invece, un clima di indignazione e di incredulità per un imprenditore appena entrato nel calcio che pretendeva di sconvolgere il manuale Cencelli degli ex giocatori che diventavano allenatori, del concetto di esperienza come lasciapassare per arrivare su una panchina importante.
Sacchi veniva considerato un usurpatore di un ruolo che non gli apparteneva e veniva ritenuto esterno al sistema calcio dell’epoca. Sarri invece no: del sistema calcio attuale ne fa parte ed ultimamente ha persino ricevuto un attestato di merito in Europa con la vittoria di un trofeo. C’era poi uno scherno collettivo alimentato da televisioni e giornali che qui, invece, non esiste. Berlusconi veniva considerato un pazzo senza criterio per avere affidato una squadra di campioni ad un neofita che veniva dalla Serie B. Agnelli, oggi, viene considerato un presidente che ha fatto una scelta di aperta rottura col passato. Sono due universi completamente diversi, non paragonabili.
Infine, è da sottolineare come Berlusconi scelse un allenatore quarantenne che proponeva un sistema di gioco rivoluzionario ed una visione del calcio nuova, capace di da far passare l’Italia, nel giro di pochi anni, dalla dimensione antica a quella moderna del gioco. Sacchi, grazie alle sue idee ed al sostegno di quella società, ebbe la forza di imporre una rivoluzione. Agnelli invece, nell’attuale momento, ha scelto un allenatore sessantenne che pratica uno stile di gioco sicuramente offensivo, ma che non può essere definito rivoluzionario o dalla portata innovativa. Non si può fare la storia, d’altronde, su un capitolo che è già stato vergato da altri con qualche decennio di anticipo.

Sull’immaginario piatto della bilancia, quest’ultimo aspetto è quello che pesa di più e che maggiormente segna le differenze fra l’arrivo di Sarri alla Juventus e quello di Sacchi al Milan.
Di innovatore ce n’è sempre e solo uno ed in un preciso momento storico in cui viene avversato da tutti (è il destino di chi vede oltre).
Gli altri, a loro modo, possono soltanto provare ad ispirarsi.

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