berlusconeide

 

Berlusconeide capitolo III (2)

 

Il ciclo di Sacchi (parte seconda)

 

Nell’estate 1988, a quella squadra già maestosa, venne aggiunto un ulteriore tassello: Franky Rijkaard, un centrocampista completo, maestoso nel passo e nell’incedere potente, fulmineo nel pensiero, inesorabile nei contrasti.
Nasce il Milan dei tre olandesi.
Fu proprio Rijkaard a realizzare il rigore decisivo nella partita di ritorno del secondo turno di coppa dei Campioni a Belgrado, contro la Stella Rossa. Il giorno prima, un Milan forse distratto, stava perdendo 1-0 dopo aver pareggiato all’andata 1-1 . Una nebbia incredibile scese sullo stadio di Belgrado, tale da rendere impossibile la prosecuzione dell’incontro.
Forse il destino, quel fato cinico e baro che tante volte viene invocato dagli uomini, si era fatto sedurre dal fascino rivoluzionario di quella grande squadra e non seppe resistere alla tentazione di darle una mano in un momento di umano rilassamento.

Il Milan seppe fare tesoro di quell’occhio strizzato dalla buona sorte e dopo aver eliminato il Werder Brema, va a Madrid per la semifinale, contro il Real, e lo domina in casa sua. Mai nessuna squadra italiana era stata capace di fare una cosa del genere. L’1-1 è bugiardo, ma per quel Milan lo spettacolo ed il dominio del campo, vengono prima anche del risultato. E’ un evento storico, è il vento in poppa di quella nave rivoluzionaria che ha salpato gli ormeggi il 1 maggio 1988 dal porto di Napoli.
Al ritorno, a Milano, si compie l’apoteosi. Il Milan vince 5-0, Ancelotti, Rijkaard, Gullit, Van Basten, Donadoni, cinque gol diversi di cinque magnifici alfieri di un’utopia che diventa realtà. Il Real è annichilito, il ciclo spagnolo trova la sua fine con l’inizio del grande ciclo rossonero in Europa.

La prima finale di Coppa dei Campioni, giocata a Barcellona, vede il Presidente Berlusconi entrare negli spogliatoi della squadra prima della partita per ricordar loro che la gara verrà vista da un miliardo di persone. Sacchi si limita a chiedere al suo Milan di giocare bene.
La partita è epica. Uno stadio intero, 80 mila persone, tutte milaniste, tutte solerti a riempire Barcellona di stendardi e cori per il Milan. C’erano donne e uomini in strada che erano partiti dall’Italia senza biglietto per il solo desiderio di assaporare quel clima. C’era la sensazione netta e palpabile della storia sportiva che si stava compiendo.
Il Milan vince 4-0, con due gol di Gullit e Van Basten, è un tripudio rossonero, è la concretizzazione di un sogno, è quell’attimo nella vita che tutti gli uomini desiderano, quando senti che stai toccando le soglie dell’Eden, non perché esista davvero, bensì perché la sublimazione mentale dei tuoi cinque sensi, ti ha portato a credere per un istante che il Paradiso sia in quell’attimo.

Il Milan poi continuerà a mietere successi, la supercoppa europea col Barcellona, la coppa del mondo per club contro il Nacional di Medellin, entrambe partite decise da un gol del prode Chicco Evani.

Nel frattempo il Milan in Italia, dopo aver lasciato campo libero per un anno alla fenomenale Inter dei 3 tedeschi, torna a lottare per lo scudetto e rimane in testa quasi fino alla fine. Succede però qualcosa che ha poco a che fare con lo sport e molto con la malizia di quel calcio episodico e provinciale che il Milan rivoluzionario di Sacchi si proponeva di superare.
A Bergamo, alla quart’ultima giornata, il Napoli vinse 2-0 a tavolino grazie ad una sceneggiata di Alemao che , colpito da una monetina, si fece portare in ospedale. Il Napoli chiese e ottenne i 2 punti a tavolino, agganciando il Milan (che pareggiò a Bologna) in testa alla classifica.
Due settimane dopo, a Verona, Lo Bello espulse Sacchi, Van Basten, Rijkaard e Costacurta, non dando due rigori al Milan.
Il Milan arrivò secondo, ma fu portato ugualmente in trionfo dai suoi tifosi perché il condizionamento arbitrale di quel campionato fu vigliacco e antisportivo e la parte sana del tifo sentiva che quello scudetto era moralmente sulle maglie rossonere.
Tre giorni dopo la fatal Verona il Milan perse anche la finale di Coppa Italia contro la Juventus, decisa da un gol di Galia. Sembrava che quella stagione, iniziata in modo trionfante, potesse concludersi con un nulla di fatto in termini di successi. C’era ancora la finale di Coppa dei
Campioni, a Vienna, contro il Benfica, ma il Milan non stava bene come l’anno prima, quella corsa scudetto così aspra l’aveva logorato fisicamente e mentalmente.

Il Benfica, allenato da Eriksson, fece una partita tatticamente quasi perfetta. Al minuto 69 però si apre un varco. Van Basten viene incontro e apre lo spazio a Rijkaard che si inserisce e segna il gol che consegna la seconda Coppa dei Campioni a quella squadra meravigliosa, unica, che nonostante il vento italiota avverso, era ancora una volta la miglior squadra europea.
Qualche mese dopo, Rijkaard e Gullit regalano la seconda supercoppa europea al Milan e a dicembre del 1990, a Tokyo, il Milan conquista la sua terza coppa del mondo per club, la seconda dell’era Berlusconi, battendo con un secco 3-0 i paraguayani dell’Olimpia di Asuncion.

Quello di Tokyo è l’ultimo successo del Milan di Sacchi. La grande avventura del suo Milan, ha fine il 20 marzo del 1991 , quando nella notte di Marsiglia succede qualcosa di inverosimile. Il Milan, per un problema tecnico all’impianto di illuminazione, abbandona il campo, e la Uefa decide di squalificare la squadra dalle coppe per un anno.
La decisione presa dal Milan fu senza dubbio errata, non sportiva, inopportuna. Galliani se ne assunse la responsabilità e probabilmente ancora oggi si sente responsabile di quell’atto che ne ha macchiato, seppur non in modo indelebile, la carriera di grande dirigente.

Il ciclo di Sacchi è ormai alla fine, nascono le prime tensioni in seno allo spogliatoio e tra il tecnico di Fusignano e Marco Van Basten, uno inizia ad essere di troppo.
Van Basten era stato ed era ancora il giocatore più forte di quel Milan, aveva vinto due palloni d’oro in quegli anni, era stato il centravanti più forte del mondo, il più moderno. Era capace di miscelare potenza e agilità, sapeva giocare per i compagni, aveva il gusto dell’assist e della giocata sopraffina ma sapeva essere anche terribilmente concreto e spietato.
Berlusconi capì che il tempo di Sacchi era concluso, quando l’allenatore chiese al Presidente di scegliere fra lui e l’olandese.
Van Basten non amava essere trattato come gli altri, Sacchi invece riteneva che la leadership dovesse averla solo e soltanto la coralità, il gioco, il concetto di gruppo. Tra visioni così diverse era normale che sorgessero divisioni e contrasti.
Sostanzialmente però, un po’ tutto il gruppo era stanco di quel pressing continuo e martellante che Sacchi faceva su di loro, sulle loro menti, per tenerle sempre a tensione altissima. Qualcosa si era rotto o forse, più semplicemente, l’inevitabile scorrere del tempo e delle idee, aveva allontano l’allenatore dalla squadra.

Ma il Milan dei record in realtà, non ha ancora finito di stupire. Sacchi dopo aver stravolto il gioco del calcio e creato una squadra incredibile, lascia il Milan, ma quel gruppo di giocatori, che tutti danno per finito, riserverà invece ancora moltissime e positive sorprese.
Il lascito di Arrigo Sacchi è destinato a far discutere. Come tutti i folli rivoluzionari, il profeta di Fusignano non ha mai rinunciato ad essere un visionario. Molti sostengono che quella squadra avrebbe vinto anche con un altro allenatore alla guida.
Chi scrive ritiene verosimile tutto ciò, in considerazione della forza di quei giocatori. Ma sia consentito far notare come quella squadra, avrebbe forse sì vinto con un altro allenatore, ma non avrebbe cambiato il gioco del calcio, non sarebbe entrata nella storia, non avrebbe condizionato e cambiato ineludibilmente le vite di tanti tifosi che a quel modo di giocare e di affrontare l’avversario si sono sempre ispirati.

Sacchi ha rivoluzionato un mondo che aveva un modo di pensare calcio arcaico, che si avviava al duemila senza voler minimamente discutere le proprie convinzioni.
Ha introdotto nel calcio gli schemi, il concetto di professionismo, la religione dello spettacolo come dovere dei giocatori verso il pubblico.
Ha mutato abitudini vetuste, ha inciso sulla preparazione atletica dei giocatori e sulle loro abitudini alimentari.
Sacchi è stato unico perché sentiva ogni giorno il bisogno e l’esigenza di mettere in discussione sé stesso e la propria squadra, non tanto come atto di umiltà, bensì come atto di rispetto verso il proprio pubblico ed i propri tifosi.
Solo una cosa non ha mai messo in discussione. Il suo credo calcistico di fondo, la sua idea ispiratrice, la sua voglia di far giocare bene la squadra, dominando il campo ed il gioco. A quella idea è stato sempre fermamente fedele, visceralmente attaccato.

Un giorno, prima di una delle tante partite del suo Milan, Van Basten chiese a Sacchi: “Mister ma perché gli altri devono solo vincere e noi invece dobbiamo sia vincere che giocare bene”. Sacchi, sgranando gli occhi con suo classico fare, gli rispose: “Vedi Marco, gli altri puntano semplicemente ad entrare negli almanacchi. Noi invece dobbiamo entrare nella storia e nel cuore della gente”.
In questa risposta, sta tutta l’essenza e la grandezza del pensiero sacchiano. E forse si trova anche il segreto della sua rivoluzione.

...alla prossima con "L'avvento di Capello"

 

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