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Il re del tennis diventa leggenda

 

Niente pare imposibile perché il Re è tornato

Toccare il cielo con una palla da tennis per entrare nella leggenda dello sport, anzi ri-entrare nella leggenda quando sembrava che stesse per arrivare il momento di chiudere la racchetta nella borsa. Addio grandi internazionali tornei e vittorie, un glorioso passato da winner alle spalle. Troppi infortuni, fisico logoro per i tanti tornei in giro per il mondo che non risponde alla mente e al cuore. E invece no. È la storia straordinaria di Roger Federer, il re del tennis mondiale, l’uomo che si è fatto leggenda conquistando a 35 anni suonati l’ottavo slam a Wimbledon, il numero 19. Vittoria Federer style: forza, precisione e l’avversario, Clic liquidato in tre sete tre. Leggenda Federer, quasi inutile sprecare parole e definizioni. Il loro vocabolario è esaurito.

Ma vale la pena ricordare come Rogerer si è fatto leggenda. Tutto è ripartito quando ha vinto il suo quinto Australian Open a Melbourne e lo Slam numero 18, battendo per di più il suo rivale amico – nemico storico,  Rafa Nadal, trent’anni. Ed era dal 2007 che non ci riusciva…

Match da leggenda quello del tennista svizzero. Un ultimo colpo, palla che si schianta sulla riga bianca di un niente. Il trionfo con quelle indimenticabili immagini che svelano il campione e l’uomo, hanno il sapore della rivincita prima di tutto con se stesso, sugli anni che passano inesorabili ma che in quel preciso momento si fermano, perché la forza di volontà, la caparbietà, lo spirito di sacrificio portano il cuore di là dalla rete.

E non è finita, perché Federer ha fatto un triplete da incorniciare da inizio anno: altre due vittorie ai Master 1000 di Indiana Wells e di Miami.

È questa la forza delle storie straordinarie che diventano leggenda. Federer che a Melbourne si in inchina su un ginocchio, la testa in basso, la racchetta in pugno. Federer fra lacrime e urlo liberatorio. Federer che bacia la Coppa e la alza al cielo nel tripudio del campo Centrale. Immagini che fanno il giro del mondo in diretta Tv, sui social, nei titoli dei giornali. L’uomo, il tennista, l’atleta si fa mito come è avvenuto per altri campioni dello sport di tutte epoche, un pantheon che comprende ad esempio Juan Manuele Fangio, Tazio Nuvolari, Fausto Coppi, Eddy Merckx, Giacomo Agostini, Mohammed Alì, Ayrton Senna, Michael Jordan, Pelé e Maradona.

Ne è passasto di tempo da quel 1990 quando quel ragazzo che aveva iniziato a giocare a tennis a 6 anni, prese le prime lezioni di gruppo e poi individuali senza sapere che la racchetta sarebbe diventa il suo violino di Stradivari. Iniziò a crederci a 12 anni e a 14 diventò campione di Svizzera e iniziò ad allenarsi nel team nazionale. Prima di compiere 17 anni entrò nel circuito Apt dopo aver vinto – era il 1998 – il torneo juniores di Wimbledon. Inizio della sua storia straordinaria fatta di vittorie e sconfitte, maturazione dell’atleta e dell’uomo, forza infinita e perfezione geometrica in campo, su qualunque campo, dalla terra rossa al sintetico. Il resto è storia, fino allo Slam numero 17 e quello che sembrava un declino inarrestabile dopo aver conquistato 1.000 vittorie Apt nel 2105. Poi iniziano i guai, anni difficili, tanto che Federer chiude per la prima volta in carriera il 2016 senza aver vinto titoli e aver rinunciato anche alle Olimpiadi di Rio.

“Essere numero uno o numero due è praticamente la stessa cosa – aveva detto -. Il cambiamento che ho avvertito è fra i miei tifosi, che ora mi incoraggiano di più e credono che io sia tuttora il migliore e che possa ancora tornare al vertice“.  Poi arriva l’Australian Open, la pagina nuova, vuota, da scrivere ancora una volta con la determinazione e la speranza di poterlo fare lottando e soffrendo. E lo “spacca racchette”, come veniva definito in tempi lontani, conquista la sua vittoria più bella e riparte continuando a vincere. C’è Wimbledon, con quel 19 che mette in fila gli slam. Ora l’impresa è arrivare a 20. Niente pare imposibile perché il Re è tornato, il sogno è vivo e la Hall of Fames può attendere.

 

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