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Nazionale, Serie A, diritti TV: la crisi del nostro calcio

 

La Nazionale in difficoltà è il riflesso del momento no del calcio italiano. Esaminiamo le cause

 

 

La sconfitta della Nazionale contro la Svezia ed il pericolo di una mancata qualificazione al Mondiale russo ha rilanciato un dibattito mai sopito nel nostro paese. A cosa è dovuto il calo del nostro calcio? A mio modesto avviso, il problema è duplice, ossia il calco di competitività della Serie A italiana e la poca lungimiranza della Lega Calcio nelle scelte sui diritti televisivi che hanno, nel tempo, creato un gap con altri campionati. In tanti ritengono che il problema della Serie A sia il numero delle squadre: 20. Troppe per molti. Probabilmente il campionato a 18 squadre ha un fascino diverso, ma vedere il problema soltanto in uno scarto dimensionale, peraltro minimo, mi pare un errore concettuale. Personalmente ritengo invece che il problema principale della Serie A sia la Serie B e che, a sua volta, il problema grave della Serie B sia la Lega Pro. Il problema dimensionale c'è quindi, ma non concerne il numero delle squadre che partecipano alla Serie A, bensì il numero complessivo delle squadre professionistiche che, in Italia, sono 102. Troppe, decisamente troppe per un paese in piena recessione economica.

Tante squadre significa tanti giocatori che, nelle serie minori, sono spesso malpagati, malgestiti e poco seguiti anche nella loro crescita didattica e tecnica. Non basta far giocare i giovani; bisogna investire su di loro e, per farlo, servono risorse sufficienti. Il problema è numerico: più squadre significa più entità fra le quali dividere le risorse. Con meno squadre, aumenterebbero le risorse e la capacità di fare calcio, soprattutto nella Serie B che, da sempre, è il vero barometro del calcio italiano. Il calcio di provincia, piaccia o meno, rimane il serbatoio del calcio di vetrina. Se funziona il primo, ci sarà una Serie A di valore. Se invece è in crisi, le squadre che saliranno dalla Serie B alla Serie A, quasi mai saranno realtà che progettano l'impresa in un arco temporale rilevante, bensì contesti medio-piccoli che, in un campionato di basso valore come l'attuale Serie B, riescono ad emergere. Il livello del torneo cadetto si è così tanto abbassato che spesso, troppo spesso, chi sale con una buona organizzazione dalla Lega Pro riesce ad essere subito competitivo per le prime posizioni. C'è una componente agonistica intensa e prevalente che arriva quasi ad azzerare il livello tecnico del campionato stesso. Appare complicato uscire da questo cane che si morde la coda. La soluzione più logica, ossia ridurre drasticamente le squadre professionistiche (da 102 a non più di 70), trova argini e barriere proprio in quelle stesse squadre in crisi che non possono accettare di votare contro sé stesse. Mutatis mutandis, è come chiedere ai politici di approvare la riduzione dei costi della politica stessa. Ogni Dracula fa fatica a rinunciare al suo sangue, anche se si tratta di una quantità minima. Questo è il ritratto del modello calcistico italiano, ma è anche il ritratto dell'Italia, un paese per gattopardi che vogliono cambiare, le cose senza però mettere in discussione sé stessi. Vogliamo la tavola pronta senza fare troppa fatica e se si tratta di rinunciare a qualcosa non siamo disponibili a farlo, sperando che ci sia qualcun altro che lo faccia al posto nostro perché tanto la colpa sarà sempre degli altri.

Dieci anni fa la Premier League ebbe l'idea di andare a vendere i suoi diritti in Oriente. Questo ha comportato uno spostamento delle abitudini degli inglesi perché l'incontro di cartello, quasi sempre, viene messo all'ora di pranzo in quanto il mercato orientale (quello che paga di più) va rispettato ed accontentato. Noi italiani non ci siamo mai orientati verso un modello del genere, non a caso diventa un problema anche organizzare la finale di Supercoppa all'estero. La nostra pigrizia mentale e di abitudini vengono prima della convenienza e così oggi la Serie A ha ricavi televisivi che sono un quinto di quelli della Premier. La decadenza del nostro campionato e conseguentemente della Nazionale insomma, non sono una conseguenza del destino cinico e baro, bensì di tante, troppe, scelte sbagliate da parte nostra. Capirlo e prenderne atto potrebbe essere il primo passo verso la soluzione del problema, ma noi italiani preferiamo credere che il problema si risolva portando il campionato di Serie A da 20 a 18 squadre. In fondo, è più semplice credere che il problema sia tutto lì. Aiuta ad illudersi che la soluzione sia dietro l'angolo e che sia sufficiente togliere due squadra per ridare alla Serie A l'antico splendore. Purtroppo non è così.

 

 

 

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