Donadoni

 

Donadoni, i perché di un mancato salto

 

Tecnico preparato e competente ma speso sottovalutato

 

Persona seria e professionista esemplare, Roberto Donadoni da allenatore è rimasto come era da calciatore. Che sarebbe diventato un ottimo allenatore lo si poteva intuire, vista la grande duttilità ma soprattutto una intelligenza tattica fuori dal comune; l’aver avuto allenatori tra i più grandi della storia (Sacchi e Capello) ha poi fatto il resto. Una carriera da tecnico fatta di alti e bassi, ma dove i bassi non sono stati tanto causati dai risultati, quanto da dissapori con i presidenti delle squadre che ha allenato. Del resto uno che da calciatore ha girato da protagonista i campi di tutto il mondo e che non fa certo il mestiere dell’allenatore per soldi non si fa certo mettere i piedi in testa da uno Spinelli, un Cellino o un Preziosi qualsiasi. Anzi, queste esperienze hanno dimostrato che Donadoni ha un carattere solido ed una personalità forte.

A ben pensarci proprio questo è il motivo per cui il presidente Berlusconi non gli ha mai affidato la panchina del suo Milan: conoscendolo sapeva che Donadoni non avrebbe mai consentito le invasioni di campo che tanto piacevano al Cavaliere. I risultati ottenuti sono sempre stati all’altezza delle rose a disposizione, con autentici capolavori come il nono posto finale col Livorno in A (2005) o il sesto ottenuto con il Parma (2014) con conseguente qualificazione UEFA poi saltata per problemi finanziari del club. Tralasciamo nelle valutazioni proprio l’anno che portò al fallimento della società ducale, condotta comunque con una dignità esemplare. Una carriera che l’ha portato dalla serie C (col Lecco) fino alla guida della Nazionale, esperienza terminata nei quarti degli Europei 2008 battuti solo ai rigori contro una delle Spagna più forti di tutti i tempi. La smania di riportare in panchina l’ex CT Lippi (un fallimento clamoroso) hanno fatto passare in secondo piano l’ottimo lavoro svolto dal giovane allenatore bergamasco. Napoli forse è stata la grande occasione persa, quella che gli avrebbe fatto fare il vero salto di qualità. Forse l’ambiente napoletano non si confaceva al suo carattere “nordico”. Oggi allena il Bologna del patrono canadese Saputo che gli ha affidato con convinzione la guida della squadra, ritenendolo l’uomo giusto per quel progetto quinquennale che per ora deve consolidare la posizione degli emiliani nel campionato di serie A. Seppur molto facoltoso, Joy Saputo non intende per ora fare degli investimenti spropositati nel rafforzamento della squadra, puntando a creare una società che sia autosufficiente ed in grado di camminare con le proprie gambe. E chi meglio di Donadoni per portare avanti questo lavoro? Certo, contrariamente alla grande fiducia del suo presidente, la città è completamente divisa nel giudizio sull’allenatore Donadoni; chi ne apprezza il lavoro e riconosce che i risultati sono all’altezza delle squadre che la società gli mette a disposizione, e chi invece lo critica per un gioco non certo spettacolare e divertente e non sopporta molto il suo atteggiamento in panchina e nelle interviste, in cui non si distingue molto la differenza tra quando il Bologna ha vinto e quando invece ha subito qualche batosta cocente (come quel 1-7 dello scorso anno contro il Napoli in casa).

Ecco, forse è proprio questo il suo più grande limite, quello che finora non gli ha permesso di andare a sedersi su una panchina di una grande: la mancanza di un “ufficio stampa”, di una comunicazione che lo metta sotto i riflettori ed il mancato ricorso a quei personaggi immanicati in questo mondo di squali che riescono a far allenare in serie A anche della gente che quel mestiere non dovrebbe neanche praticarlo. Così va il calcio, anche se un romantico come il sottoscritto pensa sempre che i meriti alla fine verranno premiati. La speranza di vederlo un giorno sulla panchina del Milan non la perdiamo di certo, anche e soprattutto visto i nomi ed i risultati di coloro che negli ultimi cinque anni si sono succeduti alla guida della squadra rossonera. Di allenatori che in panchina non avevano bisogno di dimenarsi, di urlare e sbraitare ne abbiamo già avuto uno, e guarda caso era un suo compagno nel Milan più forte di tutti i tempi (per chi non lo avesse capito stiamo parlando di Carlo Ancelotti).

 

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