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Un uomo solo al comando

 

Adriano De Zan era il ciclismo in persona, snocciolava gli ordini d'arrivo individuando tutti in volata. Senza sbagliare un nome

Il tre giugno del Settantotto, con un colpo di mano, Giuseppe Perletto da Dolcedo d'Imperia, si presentò per due volte lungo viale Lincoln al Parco delle Cascine di Firenze, vincitore del Giro della Toscana. Per due volte, dunque, come aveva deciso Adriano De Zan, il vero autore del colpo di mano. Il cameraman Giberti, sulla motocicletta a bordo della quale stava lo stesso De Zan, aveva perso contatto con la testa della corsa. Perletto, a un chilometro dal traguardo, lasciò il sestetto di fuga e andò a vincere, assenti telecamere e cineprese. Cosa si inventò Adriano Carlo Antonio De Zan, affannato e arrossato nel volto come il colore della sua maglietta? Piombato in ritardo all'arrivo, pregò Perletto di ripetere la scena finale, gli ultimi duecento metri solitari in modo da mandare in onda le immagini sfuggite.

Così accadde e la scena è entrata negli archivi della Rai e del giornalismo come il primo caso di fiction sportiva allestita all'insaputa dei più, soprattutto dei dirigenti dell'ente radiotelevisivo. Adriano De Zan non ingannò nessuno ma non volle negare la gioia ai tifosi di ciclismo che volevano vedere l'arrivo del Giro, con Perletto vincitore. Era un'altra televisione, era un altro ciclismo ma Adriano ha saputo narrarlo come nessuno, con la sua voce nasale e il tono teatrale che suo padre Enrico, attore, regista e tenore, gli aveva trasmesso. De Zan entrò in Rai quando la televisione era una prova tecnica di trasmissione, dall'Eremo sulla collina di Torino, negli studi di via Montebello e in corso Sempione a Milano. Era il '52 e venne scelto, assieme ad altri nove, tra ottomila candidati. Il destino lo fece incontrare con Carlo Bacarelli, pioniere dei telecronisti. De Zan era andato a trovare suo padre Enrico impegnato al teatro Alfieri di Torino ne La Vedova Allegra e Bacarelli con un paio di telecamere seguiva l'evento. Un anno dopo Adriano entrò a far parte della storia dello sport in tivvù. Giri e Tour, Olimpiadi e un mondiale di ping pong, atletica, tennis e pugilato, il marciapiede e il pane duro prima del palcoscenico e delle brioches. Anni belli per Adriano Carlo, come era stato chiamato in omaggio, dicono, a Carlo Campanini che aveva aiutato la famiglia in una pensione di Roma, dove era nato Adriano Antonio appunto Carlo. Era il tempo di Coppi e Bartali.

De Zan cucì con il campionissimo un'amicizia forte e rispettosa, come un bambino felice di poter parlare con il proprio balocco. Non gli sfuggiva un solo corridore nelle volate affollate di cento e più, ne recitava il cognome ribadendo le doppie consonanti, senza un solo errore, perché, il giorno appresso, controllando l'ordine d'arrivo sulla Gazzetta dello Sport, ritrovavi tutti, ma proprio tutti quelli che l'Adriano ti aveva snocciolato il giorno prima, in presa diretta, mica come al parco delle Cascine.

Si cimentò anche con la Domenica Sportiva e con il Processo del Lunedì ma non era roba sua, gli mancava la strada, gli mancava il contatto con il sudore, la fatica, l'astuzia del ciclismo.

Battutista e amante della vita, dei piaceri tutti, lo trovavi su qualunque curva, rettilineo, salita o discesa e, nelle pause del lavoro, presso la salumeria rosticceria Sala, Milano, viale Gorizia angolo Cristoforo Colombo, ogni giorno mandato da Dio l'Adriano da lì passava, due chiacchiere con quel tipaccio dietro il bancone che gli chiedeva di Zandegù e Pierino Baffi (che chiamò il figlio Adriano), di Boifava e Panizza, di Lualdi e Fraccaro o, ancora, di quel Cazzolato, con la Z e la O che si moltiplicavano all'infinito e la cui pronuncia provocava, ovviamente, risate plautine.

Non c'erano soltanto buffi racconti e semplici telecronache, come all'ultima tappa del Tour de France, Sainte Genèvieve-de Bois-Parigi, quando l'uzbeko Abdujaparov, spiegando la propria vittoria, disse: «non ho fatto scorregge». De Zan lo corresse: «scorrettezze, vuoi dire».

Era il '95, era il Tour di Casartelli, Adriano narrò quella tragedia con una voce che non aveva bisogno di spiegazioni, era una pellicola che si riavvolgeva tra le lacrime e la rabbia disperata davanti a quell'epilogo straziante e maledetto del Fabio, il ragazzo di acqua dolce.

Vennero altre corse, altri arrivi, altre fughe solitarie, fango e sole, polvere e pioggia, Pantani e la storia bellissima di uno sport di popolo e di feroce verità, narrate da De Zan, due parole per un uomo solo, al comando del microfono.

La voce di Adriano prese a sbiadirsi. Venne l'agosto del Duemilauno, quando Adriano Antonio Carlo si arrese, lentamente ma nel tempo breve di qualche mese, in silenzio, al traguardo della vita. Aveva sessantanove anni. Anche la salumeria Sala non esiste più.

 

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