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Una follia chiamata FPF

 

L'assurda pretesa dell'Uefa di poter condizionare il mercato

 

Il fair play finanziario (introdotto dall'Uefa nel lontano 2009), consiste in una serie di norme che dovrebbero garantire l’estinzione dei debiti contratti dalla maggior parte delle società.
L'obiettivo dichiarato del FPF era quello di indurre i club, nel medio-lungo periodo, all’autosostentamento finanziario e ad un pareggio di bilancio strutturale.
L’Uefa, di fatto, indicava alle società una via virtuosa da seguire non come scelta bensì come obbligo, pena la minaccia dell’esclusione dalle competizioni europee.
A distanza di 8 anni dall'introduzione del FPF, è possibile notare come Il livello di indebitamento dei club non solo non è diminuito, ma è addirittura cresciuto.

Le sanzioni promesse si sono rivelate acqua di rosa perché, alla fine, i club puniti con l’esclusione dalle coppe sono stati pochi e non fra i più noti.
Gli esempi di società in regola coi parametri del FPF sono limitatissimi, dal Bayern Monaco all’Arsenal.
Il mercato condotto dai club nell'estate appena trascorsa continua a farsi beffa di una normativa assurda e presuntuosa.

Oggi ci si scandalizza del fatto che il Paris Saint German, un club altamente indebitato, abbia pagato la clausola di Neymar al Barcellona tramite un meccanismo che gli ha consentito di aggirare il FPF.
In sostanza, la Qatar Investiments, società del proprietario del PSG ha fatto firmare un contratto a Neymar da 300 milioni come uomo immagine per Qatar 2022.
Con quei soldi, Neyamar si è liberato da solo dal Barcellona.
Lo stesso meccanismo, seppur con cifre molto minori, è stato attuato dal Villareal per prendere il talentuoso Fornals dal Malaga a metà luglio.

La morale della favola pertanto, confermata dal mercato estivo dei club dell'estate 2017, non può che essere una: il principio del pareggio del bilancio e del “si può spendere solo quanto si incassa”, è corretto sul piano della sana e virtuosa gestione di un club.
Non lo è più nel momento in cui da regola aurea diventa norma imposta, come tale aggirabile dai club più ricchi.

L’Uefa, armata della luciferina presunzione di poter dire cosa è giusto e cosa non lo è, ha ritenuto che una normativa potesse dare credibilità e trasparenza ad un sistema che già ne aveva poche.
Mai ragionamento fu più fallace.  Non tocca all’Uefa infatti sindacare su queste cose.
I club sono detenuti da proprietari che, nel caso di cattiva amministrazione, sono liberissimi di revocare il mandato degli amministratori, in quanto pagano di tasca loro le perdite di bilancio.
I mercati non sono dominabili e l’illusione che esistano normative che possano garantire dei principi è alquanto vacua ed ardita. Ogni norma infatti è aggirabile.

Chissà se presto l’Uefa prenderà atto che meno pretende di vincolare il mercato, meno danni fa al sistema.
Oppure se, viceversa, si inventerà nuove complicate ed astruse norme.
Errare è umano ma perseverare, in questo caso, potrebbe andare oltre il diabolico.

 

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