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Una lezione da capire

 

Il Milan berlusconiano che per 25 anni ha avuto l'obiettivo dichiarato, sempre, di dominare in Italia ed in Europa, non è più al momento una realtà possibile nè facilmente replicabile nei prossimi anni.

Prendere atto di questa evenienza e di questo che è un vero e proprio fatto, è assolutamente necessario al fine di intenderci bene su cosa può progettare l'attuale società e su quali step avere nei prossimi anni.

Certamente pensare che basti uno schiocco delle dita per ridare al Milan la sua tradizione e la parte migliore della sua storia è pretese alquanto luciferina, oltre che svincolata dalla realtà.

Bisogna iniziare a ragionare con una mentalità diversa perché gli albori berlusconiani (verificatisi negli anni 80), non sono ad oggi riproducibili per una serie innumerevole di ragioni.

In primis perché le lucide e straordinarie visioni, unite alle strategie, del primo Berlusconi, appartenevano ad un universo calcistico e ad un'Italia che oggi purtroppo non esiste più.

In secondo luogo perché il FPF all'epoca non c'era. Colui che, avendo disponibilità economica, acquisiva un club, poteva immettere importanti capitali per il rafforzamento della rosa, senza doverne rispondere ad alcuno.

Lo scenario oggigiorno è cambiato e continuare a valutare l'attuale Milan alla luce di una storia grandissima, non replicabile nel breve periodo, è un atteggiamento che porta soltanto gravi danni e nessun beneficio.

L'ultimo esempio sono i nasini schizzinosi e le bocche storte della scorsa stagione da parte di una buona fetta del tifo rossonero nei confronti di Rino Gattuso, nonostante i risultati che il tecnico stava ottenendo.

Il problema, per molti milanisti, era il gioco poco armonico, la mancanza di spettacolo e di qualità offensiva dell'undici allenato dal tecnico calabrese. Troppa noia insomma, poco in linea con la tradizione del club.

Uscire da questo circolo vizioso sarebbe probabilmente cosa buona e giusta. Per giocare bene servono le idee del tecnico e Gattuso le aveva. Non a caso, a Napoli, è stato capace di mettere sotto la Juventus sul piano del gioco.

Col Milan, senza un solo costruttore di gioco davanti alla difesa (la stagione scorsa di Biglia è stata purtroppo più in infermeria che in campo) e col miglior centrocampista fuori da ottobre, Rino è stato capace di sfiorare un'impresa.

Certo la qualità estetica di quel Milan era bassa ma, onestamente, come si poteva pretendere gioco da un allenatore che non aveva un solo giocatore capace di saltare l'uomo nell'uno contro uno?

Il problema del Milan, da 3 anni a questa parte, è un organico di giocatori medi strapagati come ingaggi ed emolumenti, senza un solo elemento capace di fare la differenza.

Spostare il mirino della critica da Montella (nel 2017) a Gattuso (nel 2018 e nel 2019), sino a Pioli oggi, è servito solo a giustificare un mercato erroneo (quello di Mirabelli), a cui sono stati posti correttivi non idonei.

Gli allenatori, in fondo, solo semplicemente uomini. Possono far migliorare i giocatori, li possono impiegare in posizioni migliori e magari più confacenti alle loro caratteristiche, ma non possono cavar sangue dalle rape.

Se il Milan del futuro vuole uscire dalle secche di queste stagioni anonime (pur nella loro gravosità economica), deve mettere in discussione l'impianto di squadra creato nell'estate 2017.

Conti, Musacchio, Rodriguez, Kessie, Calhanoglu e Biglia non sono purtroppo giocatori da Milan. Possono rientrare nelle turnazioni, ma non possono avere ruoli da titolari in una squadra che vuole tornare competitiva.

Quel mercato è stato profondamente sbagliato nelle cifre (condizionando i bilanci delle stagioni successive) e nelle scelte tecniche. Inoltre ha inevitabilmente condizionato chi è arrivato dopo.

La madre di tutti gli errori sta lì. Elliott ne deve prendere atto invece di cambiare allenatori in serie, come se il Milan fosse una Ferrari alla ricerca del pilota giusto. Il motore di quest'auto purtroppo va rifatto quasi integralmente.

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