plusvalenze

 

Il gioco delle plusvalenze ed i loro effetti

 

Quando due società come Inter e Milan adottano politiche e strategie diverse per i propri settori giovanili

 

Plusvalenze, quando si arriva in questo periodo dell’anno la parola d’ordine è “plusvalenze”. Nessuna mossa di mercato e nessuna trattativa viene più fatta per meri motivi tecnici, ormai un giocatore si acquista e si vende solo se a bilancio non genera una perdita rispetto al valore di carico; ed in nome del FairPlay Finanziario entro il 30 giugno le società devono mettere a segno il maggior numero di plusvalenze possibili per poter poi procedere con gli acquisti a partire dal 1 luglio (data di inizio di un nuovo anno fiscale per quasi tutte le società di calcio).
Negli ultimi anni è diventata proverbiale la capacità dell’Inter di fare plusvalenze con i propri ragazzi delle giovanili, un sistema di cessione di giovani giocatori a valutazioni iper gonfiate ed in grado di generare quei 35/40 milioni di plusvalenze senza dover, quindi, ricorrere alla cessione di nessuno dei top player in rosa. Vanheusden, Emmers, Rizzo, Gavioli, Vergani, Gravillon vi dicono qualcosa? Ed ancora, Odgaard, Bettella, Carraro, Valietti, Manaj? Nulla vero? Eppure sono dei ragazzi venduti negli ultimi due anni che hanno generato plusvalenze per decine di milioni di euro. Fanno parte di questa “tratta” anche Di Marco, Zaniolo, Radu, Bardi e Pinamonti, gente che qualche presenza in serie A l’ha raccolta, anche se, Zaniolo a parte, nessuno di questi rischia di fare una carriera da essere ricordata.
Eppure, grazie a questi nomi, Ausilio e l’Inter sono stati in grado di sistemare per anni i bilanci, rispettare il Settlement Agreement con l’Uefa, e rientrare nei paletti imposti dal FPF.
A scanso di equivoci diciamo che l’Inter non è l’unica squadra ad aver sfruttato questa situazione, perché anche la Juventus, ad esempio, è riuscita a fare di peggio, non utilizzando i giovani, ma trovando sponda in società amiche che hanno iper-gonfiato gli acquisti di giocatori di fascia media (Sturaro, Audero, Mandragora, Favilli, ed altri) in cambio di favori che verranno riscossi poi più in là nel tempo.
Ieri sera sull’argomento ho assistito ad un acceso dibattito su Telelombardia tra giornalisti interisti da una parte e giornalisti milanisti dall’altra, con i primi che hanno poi messo fine alla disputa con la seguente affermazione: “il Milan non fa questo tipo di operazioni perché non ha la materia prima per farlo (visto che anche la sua Primavera quest’anno è retrocessa)”.
Può darsi pure che il valore del gruppo dei giovani rossoneri di quest’anno non sia stato all’altezza della situazione, e questo dovrà indurre a qualche riflessione da parte della dirigenza rossonera.
Tuttavia proviamo a dissentire da questa teoria. La verità è che da sempre l’obiettivo delle due società sul settore giovanile è completamente diverso.
L’Inter, che ha un settore giovanile fortissimo, in grado di portare quasi tutte le squadre fino in fondo nei vari campionati nazionali, usa il settore giovanile come “fabbrica di plusvalenze”, vale a dire che cresce ed acquista giovani di belle speranze che rivende alle altre società per “fare dei soldi” che servono a sistemare i bilanci e ad acquistare per la prima squadra giocatori già fatti o dei top. Trovare un solo giocatore uscito dalle giovanili che si sia affermato in prima squadra è pressoché impossibile.
Diverso il discorso del Milan, che da sempre investe nel settore giovanile per creare in casa i giocatori da portare in prima squadra.
Erano cresciuti nelle giovanili molti dei giocatori titolari dei Milan più forti della storia, come Baresi, Maldini, Filippo Galli, Costacurta, Evani, Albertini ed Ambrosini. Così come sono venuti fuori dalla Primavera alcuni dei giocatori che rappresentano l’asse portante del Milan di questi anni, vale a dire Donnarumma, Calabria, Cutrone, Abate, Locatelli e De Sciglio. Basterebbe che il Milan vendesse Donnarumma alla giusta valutazione di mercato per fare in un colpo solo la plusvalenza che hanno fatto tutti i giovani giocatori dell’Inter degli ultimi anni, e che si sono poi anche persi nel passaggio al grande calcio.
O pensate semplicemente alle plusvalenze che avrebbero potuto generare solo due prodotti del vivaio come Baresi e Maldini.
Insomma, due filosofie e due politiche completamente differenti, che mirano ad obiettivi completamente diversi. È per questo che non bisogna guardare con invidia a quello che fa l’Inter recriminando sul fatto che noi non siamo in grado di farlo.
All’Inter va bene fare così e fa bene a continuare con questa politica, almeno fino a quando non scoppierà “plusvalentopoli”.
 
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