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Tonali al Newcastle e gli addii più dolorosi

 

Improvvisi, inevitabili, programmati, ma comunque dolorosi: Tonali è solo l'ultimo della serie

 

L’addio di Tonali rievoca ricordi non proprio felici nei tifosi rossoneri. In passato, al Milan è capitato di perdere simboli per motivi diversi. Decisioni prese a fine ciclo, cessioni dolorose ma dettate dalle questioni di bilancio, motivi personali che hanno spinto a separazioni dure e spesso e volentieri rimpiante. Insomma, questione di contesti. In questo racconto ricordiamo quelli più eclatanti, dall'era Berlusconi in poi. L’estate del 2013 per esempio è quella della separazione con Massimo Ambrosini, arrivato a fine contratto dopo 488 presenze e 36 gol in rossonero. Il suo saluto arrivò in conferenza stampa, prima di una stagione con la maglia della Fiorentina: "L’amarezza che sto provando ora non può essere superiore alla soddisfazione di aver vissuto questi lunghi, splendidi 18 anni di Milan. Certo mi sarei aspettato un po' più di attenzione nei miei confronti. Non sono però qui per lamentarmi, ma per ringraziare tutte le persone che mi hanno permesso di essere un giocatore del Milan".

 

Una situazione simile a quella di Tonali si era vista l’ultima volta undici anni fa. Nel 2012, fu il Psg degli sceicchi a bussare ai rossoneri per strappare Ibra e Thiago Silva, simboli più di altri del diciottesimo scudetto conquistato con Allegri. Sul piatto, un’offera monstre di circa 65 milioni di euro e la possibilità per il club di un taglio netto al monte ingaggi (tra i 12 netti dello svedese e i 6 del brasiliano). Una mossa ragionata e praticamente obbligata per Berlusconi, che portò però a un ridimensionamento delle ambizioni del club. Dopo un tira e molla, il grande addio con il successivo saluto di Ibra dal ritiro della Svezia: "Voglio il meglio per il Milan, stavo molto bene lì e mi sono sentito come a casa. È uno dei club in cui vorrei tornare, se potessi scegliere oggi. Se hanno bisogno di aiuto, sanno dove trovarmi". Infatti.

 

Il 13 maggio 2012, una giornata iconica per il tifo rossonero tra lacrime e abbracci. Il Diavolo salutò in contemporanea Seedorf, Inzaghi, Gattuso e Nesta. Tutti commossi dopo la partita di campionato contro il Novara, tutti protagonisti in modi diversi di un ciclo esaltante di vittorie. Il tributo di San Siro fu da brividi, mentre curioso fu l’aneddoto rivelato dall’ex numero 8 dopo uno degli ultimi incontri con Galliani, per trovare la quadra sul contratto: "Mi ha regalato il cd di Fausto Leali 'Mi manchi'". Ringhio continuò al Sion, per Seedorf ci fu invece l’esperienza al Botafogo e Nesta chiuse tra Mls e India. Inzaghi, protagonista con gol in quella gara, disse addio al calcio giocato a modo suo.

 

Dopo la vittoria del diciottesimo scudetto, ecco la separazione tra il Milan e Pirlo, altro emblema di un ciclo vincente soprattutto con le due Champions del 2003 e del 2007 e due scudetti. Il centrocampista, perno dell’era Ancelotti, passò alla Juve a parametro zero e fu uno dei protagonisti della rinascita bianconera. Qualche settimana fa, in un’intervista ad Amazon Prime con l’ex compagno di squadra Ambrosini parlò così: "Loro volevano farmi un anno di contratto, oltre i 30 anni avevano questo modo di vedere. Non ci siamo mai trovati su questa cosa perché io volevo stare lì molto di più, i pianti che abbiamo fatto li sappiamo. Sarei rimasto tutta la vita. Sono andato via per tanti motivi, ma non perché volevo più soldi o volevo andare da un’altra parte".

 

Qualche anno prima, l’addio di Kakà per motivi simili. Il brasiliano lo commentò a caldo dal ritiro della nazionale a Recife, provando una battuta nonostante la tristezza. "Auguro al Milan di vincere lo scudetto. E anche tutto il resto… No, tutto tutto no. La Champions proverò a vincerla con il Real Madrid". Era il giugno 2009 e i Blancos si assicurarono il Pallone d’Oro 2007 con un assegno da circa 65 milioni: "So che i tifosi rossoneri sono tristi. Loro piangono, io piango. Al Milan devo tutto. Mi ha portato in Europa, mi ha costruito intorno un progetto calcistico e mi ha aiutato a diventare il numero 1. Nel mondo stanno succedendo gravi cose dal punto di vista economico, la crisi ha colpito le imprese e il Milan è un’impresa calcistica. I soldi del mio trasferimento possono aiutare la società a superare questo momento e a costruire un futuro ancora più importante". Per il numero 22, insurrezione dei tifosi sotto la vecchia sede di via Turati e casella mail della società intasata da messaggi di protesta. In Spagna non andò benissimo per il brasiliano e Kakà tornò al Milan nel 2014 con un biennale, poi rescisso dopo un anno.

 

Oltre un decennio di Milan, impreziosito da 5 scudetti, una Coppa dei Campioni, una Supercoppa europea e 3 Supercoppe italiane. Poi, nell’estate 2002, il momento dell’addio anche per Demetrio Albertini, protagonista negli anni rossoneri con 406 presenze e 28 gol. Nonostante il desiderio di chiudere al Milan, per lui la separazione arrivò a causa dei piani diversi della società, che con Ancelotti preferì in quella posizione un Pirlo in rampa di lancio. Per il centrocampista, prima un prestito all’Atletico Madrid e in seguito la cessione alla Lazio.

 

All’inizio del nuovo millennio, la traumatica separazione con George Weah, Pallone d’Oro 1995 e simbolo rossonero con 147 partite, 58 reti e due scudetti messi in bacheca con la maglia del Diavolo. Per lui un prestito al Chelsea prima di un’altra esperienza in Premier League. Alla base della separazione, i contrasti con l’allora tecnico Alberto Zaccheroni.

 

L’estate del ‘98 segna un altro turning point. Nell’anno del Mondiale di Francia, il Milan saluta due simboli, Savicevic e Desailly, avviandosi all’apertura di un nuovo ciclo vincente. Il "Genio", primo 10 rossonero da quando esiste la numerazione personalizzata, creò con la maglia del Diavolo un binomio inscindibile nella testa e negli occhi dei tifosi, mettendo a segno 34 gol in sei anni. Il francese, che proprio in quei mesi conquistò il Mondiale di casa, collezionò 186 presenze e 7 reti in 5 anni di Milan. Per entrambi, la foto ricordo riporta alla finale di Champions del 18 maggio 1994, quando i due furono protagonisti con gol nell’iconico 4-0 rifilato al Barcellona di Cruijff.

 

Restando all’era Berlusconi, la macchina del tempo si ferma alla stagione 1993. Un’estate che portò il Milan a separarsi da due protagonisti di tante trionfi: Frank Rijkaard, di ritorno all’Ajax, e Ruud Gullit, direzione Sampdoria. Per il primo fu una questione di scelte di vita, come spiegato al Telegraaf: "Che cosa c’è di più bello che chiudere nel momento culminante della carriera? Così mi ricorderò con immenso piacere di questi anni passati nel Milan. Proprio per questo non penso nemmeno lontanamente di andare a giocare in un'altra squadra italiana, il calcio in Italia per me significa Milan e basta. Non ci sono altre alternative". L’ex numero 10 andò via alla ricerca di una svolta, come raccontato a "Che tempo che fa" nel 2017: "Io devo molto ai rossoneri, dove ho avuto grande disciplina. Andai alla Sampdoria perché il Milan e soprattutto i medici non avevano fiducia in me e nel mio ginocchio, ma non era vero che fosse sempre rotto. Stavo benissimo e non mi facevano giocare. Ero molto deluso e andai via. La Sampdoria mi ha dato la libertà di giocare. Al Milan al massimo ho segnato 9 gol in stagione, mentre lì ne feci 16. Ero libero e felice, anche a livello di vita".

 

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