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Il nuovo che avanza

 

Moneyball, l’algoritmo non è nemico: i precedenti fanno sorridere al Milan

 

Non è ancora stato smaltito del tutto il traumatico addio del Milan a Paolo Maldini (e va aperto un inciso: l’addio da parte del Milan a Maldini, non “di Maldini al Milan”: non è la stessa cosa ed è giusto ricordarlo), ma il tempo passa inesorabilmente e l’urgenza di fare mercato impelle come mai negli ultimi anni. C’è bisogno di fare un salto di qualità importante alla squadra, finita quinta sul campo nella stagione appena conclusa, ma, per farlo, Gerry Cardinale e l’ad Furlani vogliono far affidamento a Moneyball. Fuori Maldini (e Massara) per metterci al suo (loro) posto l’intelligenza artificiale. Via la storia del Milan e dentro l’asettico algoritmo privo di sentimenti ed emozioni. Pagherà? Impossibile prevederlo, ma per come è stata proposta, l’accoglienza non poteva che essere più fredda dell’inverno polare.

I primi personaggi legati al mondo del calcio ad utilizzare il modello Moneyball sono stati Matthew Benham (proprietario del Brentford) e Rasmus Ankersen, ex allenatore del Midtjylland. La cosiddetta sabermetrica si basa sull’analisi delle prestazioni e sulla codificazione di dati e principi. I danesi hanno iniziato a vincere campionati e coppe dal 2014, dopo non aver mai vinto nulla prima. Certo, il Milan non è il Midtjylland e i rossoneri non possono permettersi il lusso di sprecare un’altra campagna acquisti. Come si utilizzino i dati statistici nessuno lo dice, anche comprensibilmente, ma le statistiche generalmente più monitorate sono gli xG, gli expected goals, ma anche le qualità individuali, le performance atletiche, il sonno, l’umore e la nutrizione. Vengono valutate anche le possibilità di adattamento in contesti diversi e le squadre che adottano questa filosofia, generalmente si avvalgono anche della consulenza di psicologi per completare il profilo dei giocatori seguiti. Nel Milan il gruppo di lavoro che lavorerà con il modello Moneyball farà capo a Geoffrey Moncada, già capo scout dei rossoneri, molto stimato per la grande conoscenza e l’altrettanto grande competenza dimostrata sin qui.

Il Borussia Dortmund nel 2014-15 ha concluso la Bundesliga al 7° posto, ma stando alle statistiche di Ian Graham, responsabile del dipartimento statistico del Liverpool, ha notato che il rendimento del BVB, in rapporto alle qualità della squadra, era stato ben al di sopra di quello che avrebbe dovuto essere e anche per questo non hanno esitato ad ingaggiare Jürgen Klopp. Così come lo stesso Graham suggerì l’acquisto di Momo Salah, che in Inghilterra era stato bocciato e bollato come inadeguato dopo 13 partite con il Chelsea, ma stando all’algoritmo l’egiziano non aveva reso così diversamente da quanto fatto a Firenze e a Roma: il resto è storia. Ma anche nel 2020, sempre al Liverpool, è stato acquistato Diogo Jota perché l’analisi delle sue prestazioni con il Wolverhampton aveva evidenziato un’alta capacità di effettuare passaggi precisi con il piede debole e scoperto che con la sua pressione e i suoi recuperi aveva costretto spesso gli avversari ai falli che una volta venivano chiamati “da ultimo uomo” (oggi derubricati come DOGSO). Tre esempi che confermano come il modello Moneyball non sia il male in sé e per sé, e che anzi, se usato in maniera saggia da chi se ne intende di pallone, può essere una risorsa più che valida nell’ottica di massimizzare la resa minimizzando la portata degli investimenti. Ora a Moncada e al suo staff l’oneroso compito di non far sentire la mancanza di Maldini e Massara.

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