cardinale pioli

 

Io ho una speranza

 

Da Berlusconi ai giorni nostri: quanta nostalgia e quali speranze

 

Sommersi tra celebrazioni e polemiche, divisi dall’attenzione fobica un tantino ciarlatana su presenti-assenti al funerale e alle scelte politiche sul lutto, enfatici nel ricordo del percorso e trancianti nel sottolinearne le debolezze, gli italiani hanno seppellito con Silvio Berlusconi una fetta di storia di questo Paese costantemente in apnea. Se l’Italia fosse altrettanto coerente nei suoi comportamenti collettivi come lo è nei giudizi individuali riferiti ad altri, sarebbe certamente un posto migliore.

La grandezza del personaggio (che, come ognuno di noi, aveva pregi e difetti amplificati però dalla sua figura, dai suoi ruoli e dai suoi atteggiamenti) stava essenzialmente nell’affetto dimostratogli dai tifosi del Milan, dai dipendenti, dagli avversari che hanno voluto comunque dedicargli il saluto finale con un tributo civile e composto. Non è esistito il berlusconismo: è esistito un personaggio differente da tutti, visionario, potente, contrastato. Un personaggio, un uomo, che la storia l’ha scritta e l’ha fatta. Come sempre, come tutti i suoi protagonisti, nel bene e nel male lasciando comunque un vuoto.

In questo periodo in cui mancano punti di riferimento a chi ama il calcio a tinte rossonere, crescono le incertezze sul futuro in contrapposizione all’eco quasi struggente dell’epopea di 31 anni e 29 trofei. La morte del Presidente ci ha ricordato con intransigente fermezza come sia finito un mondo a causa soprattutto delle lacune, dei limiti e delle contraddizioni dell’Italia di cui sopra. Il pallone nel nostro Paese è diventato terra fertile per il business in altre lingue, anche e soprattutto grazie al fatto che mecenati, imprenditori, avventurieri e faccendieri di casa nostra non hanno saputo tenere il passo, proteggere l’economica, sviluppare il progresso. Dare al calcio un futuro, insomma. E non solo al calcio.

L’impossibilità (o la difficoltà) politica di costruire stadi nuovi nelle due città più importanti, Roma e Milano, è solo la dimostrazione più eclatante della miopia in cui siamo sprofondati. Una miopia che impedisce, nella strenua difesa del proprio orticello, di avere visioni più ampie, concrete, fattibili.

L’elenco delle stelle che Berlusconi fece brillare al Milan stride con nomi e nomignoli accostati in questa alba estiva al club rossonero. Anche per come viene superficialmente descritta una ipotetica realtà di algoritmi e avarizia. Continuo a credere che il “business Milan” si traduca non solo in speculazioni di varia natura, ma anche e soprattutto nei successi sportivi. La responsabilità di queste ambizioni resta sulle spalle del Fondo Elliott, RedBird e Stefano Pioli, oltre che al nuovo management: dare credibilità, se non vogliamo dare loro subito fiducia, non costa niente. Così come non costerà niente giudicare.

Abbiamo sofferto in pochi giorni la sofferta vedovanza di Paolo Maldini in un verso, di Silvio Berlusconi in un altro (ancor più definitivo e crudele). Concediamoci almeno una speranza, adesso. Piccola o grande che sia, scopriremo presto se fondata.

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