cavallo troia

 

Il cavallo di Singer

 

Ecco come il diritto comunitario può subito essere d'aiuto. Analisi e prospettive dopo non decisione UEFA sul Milan

 

“Bravo Ulisse, hai trovato il modo di far si che le pecore invitino i lupi a cena!”. Con questa frase Agamennone si rivolse all’eroe greco nella famosa trasposizione cinematografica del poema omerico. Ma in che modo le vicende rossonere possono accostarsi all’epica battaglia tra achei e troiani?
Nella giornata odierna la Camera Giudicante della UEFA ha deciso di sospendere il procedimento nei riguardi dell’AC Milan, motivando la sua decisione in questi termini:
La Camera Giudicante dell’Organo di Controllo Finanziario dei Club (CFCB) ha ordinato una sospensiva procedurale del procedimento contro l’AC Milan in relazione al mancato rispetto dei requisiti di pareggio di bilancio durante il periodo di monitoraggio fissato nella stagione 2018/19 e riferito agli esercizi conclusisi nel 2016, 2017 e 2018.
La sospensione della procedura rimarrà in essere fino al pronunciamento del TAS in merito al procedimento attualmente in corso inerente alla sanzione imposta al club per il mancato rispetto dei requisiti di pareggio di bilancio per gli esercizi conclusisi nel 2015, 2016 e 2017.
Adesso quali saranno gli scenari futuri? Cosa accadrà a Losanna? Nell’articolo odierno spiegherò le prospettive del club rossonero, nonché le norme del codice TAS e svizzere che possono aiutarci in questa battaglia legale. Incluso un precedente che coinvolge proprio la UEFA dinanzi al TAS.
Capitoli:
Perché la UEFA ha deciso di non decidere? L’unico accordo possibile. Le prospettive dinanzi al TAS. Il “Cavallo di Singer”: il precedente che può aiutare il Milan. L’impugnabilità del lodo TAS.
Perché la UEFA ha deciso di non decidere?
Con un provvedimento inaspettato, la UEFA ha deciso di sospendere la sanzione relativa all’ultimo periodo di monitoraggio riguardante l’AC Milan e inerente gli esercizi conclusisi nel 2016, 2017 e 2018.
Le motivazioni di questa scelta appaiono chiare ed affondano le radici nel precedente vittorioso a Losanna, reso dal TAS nello scorso mese di luglio ed inerente il periodo di monitoraggio che comprende gli esercizi conclusisi nel 2015, 2016 e 2017. All’epoca i giudici svizzeri, cassando l’esclusione dalle coppe e riammettendo il club rossonero, affermarono che: “la sanzione contenuta nella decisione, oltre il semplice fatto che si basa su determinazioni errate, non è proporzionata all’obiettivo perseguito e deve essere parzialmente annullato“. La UEFA, sulla base di questo provvedimento, nel successivo mese di dicembre emanò una nuova sanzione per il succitato periodo di monitoraggio (15/16/17) ossia l’obbligo del pareggio di bilancio entro giugno 2021, pena una nuova esclusione dalle coppe. Tuttavia il Milan non ha ritenuto proporzionale questa nuova sanzione, impugnandola ancora dinanzi al TAS. I motivi di doglianza del club rossonero molto probabilmente li riscontriamo nell’obbligo di essere soggetto al monitoraggio in pendenza di sanzione.
Infatti il regolamento del Fair Play Finanziario monitora i club anno dopo anno, valutando i deficit di bilancio nei tre anni a ritroso. Ciò vuol dire che il monitoraggio non si ferma mai, salvo che il club non stipuli un accordo transattivo con la UEFA. La conseguenza di ciò è chiara:
i club che sono riusciti a stipulare un Settlement Agreement (ad es. Inter, Roma, City, PSG) hanno potuto beneficiare di questo accordo subendo le sanzioni e rispettando i paletti concordati. Quindi il monitoraggio per i pregressi passivi si è fermato, consentendo a questi club di essere giudicati unicamente per i risultati finanziari futuri. i club che, invece, non sono riusciti a stipulare un Settlement Agreement (a causa del rifiuto della Camera Investigativa) e che hanno subito una misura disciplinare (come il Milan), continuano ad essere soggetti al normale monitoraggio dei bilanci passati. Questo porta alla paradossale situazione odierna, ossia che il club rossonero continuerà ad essere sanzionato anno dopo anno fin quando non rientrerà nello scostamento tollerato dalla UEFA (-30M nell’ultimo triennio).
L’unico accordo possibile.
Negli ultimi giorni è filtrata la possibilità che il club rossonero potesse accettare l’esclusione dalle coppe europee qualora si fosse qualificato per l’Europa League. Tuttavia la UEFA non ha escluso nuovamente il Milan, preferendo una sospensiva riguardante la sanzione da applicare nel nuovo periodo di monitoraggio (16/17/18). Questa scelta, assai prudente, è strettamente collegata all’attuale procedimento pendente dinanzi al TAS.
Infatti la UEFA si è trovata nella scomodissima posizione di dover decidere nuovamente se sanzionare il Milan su fatti analoghi (monitoraggio 15/16/17) già precedentemente censurati dal TAS e sui quali lo stesso TAS è stato chiamato nuovamente ad esprimersi.Dunque, visto il chiaro collegamento logico tra le due situazioni, escludere o anche solo sanzionare il club rossonero sarebbe stata una mossa molto rischiosa, che ha portato la UEFA ad un atteggiamento molto più mite.
A conti fatti, dunque, questa è già una seconda vittoria di Elliott che si sta battendo nelle sedi competenti per tutelare i diritti di un club che ha da poco subito un “change of control” ma che, purtroppo, a causa del Fair Play Finanziario fatica ad imbastire liberamente un proprio business plan basato unicamente sulle disponibilità economiche e finanziarie del proprietario.
Infatti siccome il monitoraggio – in assenza di un accordo transattivo – non si interrompe mai, il Milan rischia di essere bannato anno dopo anno fino a quando non riesce a rispettare il limite del deficit aggregato negli ultimi 3 anni (pari a -30M). Ecco perché l’unico accordo possibile per il clubè quello che preveda l’interruzione del monitoraggio contabile dei bilanci pregressi, proprio come avviene per il Settlement Agreement, magari con il contestuale allungamento del Break-Event Point (pareggio di bilancio) al 2022 o 2023.
Per questi motivi rimane sempre attuale l’ipotesi di un accordo stragiudiziale tra le parti in causa (ex art. R42 codice CAS). Una decisione meno “autoritaria” di quella a valle di un contenzioso, ma non meno imparziale, giacché anche l’eventuale transazione tra Milan e UEFA dinanzi ai giudici svizzeri deve essere ratificata dallo stesso collegio, che quindi deve valutarne la congruità e il rispetto del regolamento FPF, oltre che delle norme di carattere generale. Ovviamente il club rossonero, visto che parteciperà alla prossima competizione UEFA, potrebbe lasciare sul piatto i ricavi della Europa League ed anche una limitazione delle liste.
Il vantaggio per i burocrati di Nyon è che, così facendo, non vedrebbero intaccata la loro giurisprudenza “domestica”, infatti l’accordo per il monitoraggio 15/16/17 avverrebbe dinanzi al TAS. Quindi anche la concorrenza (PSG, City, Inter) non potrebbe obiettare alcunché. Inoltre nel momento in cui il TAS ratificherà un simile accordo, la UEFA non potrà far altro che adeguarsi anche per il monitoraggio 16/17/18 e dunque, se l’accordo consterà nella sospensione dei monitoraggi anno dopo anno, lasciar decadere il secondo procedimento “domestico”, oggi sospeso.
Ciò detto, le prospettive di un altro contenzioso dinanzi al TAS sarebbero poco rassicuranti per la UEFA che, oltre ad avere già un precedente sfavorevole contro il Milan per fatti analoghi, rischierebbe di mettere a dura prova la credibilità del FFP per i motivi che leggerete nei prossimi capitoli.
Le prospettive dinanzi al TAS.
In questo momento dinanzi al TAS di Losanna è pendente il ricorso che vede fronteggiarsi l’AC Milan e la UEFA riguardo la sanzione da applicare al periodo di monitoraggio 15/16/17, così come attualmente prevede il FFP.
Nel precedente capitolo abbiamo introdotto l’ipotesi di una decisione conciliativa, ma nelle pieghe del codice CAS è presente un’altra opportunità.
Infatti ai fini di una decisione definitiva non transattiva, l’ideale sarebbe una soluzione dinanzi al TAS che, nel rispetto del FPF e senza andare oltre (non sono ammesse sentenze “additive”), emani un lodo che si sostituisca all’accordo tra le parti. Il codice CAS lo consentirebbe se venisse richiesto dai contendenti. Sul punto appare il caso di sottolineare quanto già affermato dagli stessi giudici di Losanna nel precedente procedimento tra Milan e UEFA:
“L’articolo R57, paragrafo 1, del codice CAS prevede che “il gruppo di esperti può emettere una nuova decisione che sostituisce la decisione impugnata o annullare la decisione e rinviare la causa al caso precedente”. Nel caso in questione, il gruppo di esperti scientifici sceglie di rinviare il caso alla camera giudicante del CFCB. Nel fare ciò, il gruppo rispetta l’autonomia della camera giudicante della CFCB per trovare una sanzione proporzionata basata su una valutazione attenta e approfondita dei fatti sottostanti, come previsto dall’articolo 28 delle norme procedurali. Inoltre, il gruppo di esperti si sente vincolato dalle richieste delle parti.
Questi ultimi non hanno richiesto che il gruppo di esperti sostituisca la propria decisione alla decisione annullata della CFCB. Invece il ricorrente – in particolare – ha richiesto che il caso fosse rispedito al CFCB. Inoltre, il gruppo di esperti ritiene che, alla luce della natura del presente procedimento (procedura accelerata), non sia in grado di indagare e valutare completamente la base fattuale del caso.“
Nel caso di specie non ci troviamo di fronte alla c.d. “Expedite Procedure” (utilizzata lo scorso anno a causa della necessità di formare i calendari) ma dinanzi ad un procedimento regolare le cui tempistiche odierne sono assolutamente compatibili con altri casi analoghi precedentemente affrontati dal TAS. Dunque il collegio giudicante – qualora venisse investito di questo potere dalle parti – non avrebbe ostacoli nell’emettere una decisione che si sostituisca alla sanzione irrogata dalla UEFA e che, nelle speranze del Milan, simuli in tutto e per tutto un Settlement Agreement.
Questo scenario, quindi, si pone in alternativa a quello di un accordo stragiudiziale citato nel precedente capitolo. In entrambi i casi la soluzione che avverrà a valle dell’attuale procedimento TAS (monitoraggio 15/16/17) avrà ripercussioni dirette sul procedimento “domestico” UEFA (monitoraggio 16/17/18). In buona sostanza chi la spunterà oggi dinanzi al TAS, la spunterà anche domani dinanzi alla Camera Giudicante che dovrà definitivamente adeguarsi ai principi di diritto sanciti dai giudici di Losanna.
N.B. dinanzi al TAS è pendente solo il giudizio sul 15/16/17, mentre quello sul 16/17/18 è sospeso in seno alla UEFA. Ergo salvo sorprese oggi l’ipotesi di una riunione dinanzi al TAS decade perché si attenderà prima l’esito della decisione sul vecchio monitoraggio e poi la UEFA deciderà sul nuovo. Inoltre qualsiasi richiesta di “expedite procedure” a mio avviso rischia di essere rigettata perché non vi è l’urgenza di definire i calendari. La sanzione sul 15/16/17 oggi pendente al TAS non ci impedisce di partecipare alla prossima EL. E la sanzione sul 16/17/18 è sospesa in attesa di quella riguardante il precedente monitoraggio.
Il “Cavallo di Singer”: il precedente che può aiutare il Milan.
Nei procedimenti di appello contro le decisioni di organizzazioni sportive, i Collegi TAS applicano, in via primaria, i regolamenti di tali organizzazioni (“applicable regulations”) e, in via complementare, il diritto del paese dove hanno sede, che è quasi sempre il diritto svizzero (anche nel nostro caso, dato che la UEFA ha sede in Svizzera).
Un Collegio TAS può anche applicare – fornendone le ragioni – altre regole di diritto, la cui applicazione ritiene appropriata, come ad esempio altri diritti nazionali, principi generali del diritto, o la “lex sportiva”.
Il TAS, inoltre, può essere tenuto a non applicare determinate regole delle organizzazioni sportive o norme di altri Paesi se le considera “incompatibili con l’ordine pubblico ” svizzero, ex art. 190 LDIP. Tuttavia il TAS è in ogni caso tenuto ad applicare le norme svizzere di applicazione necessaria e può essere tenuto, anche ricorrendo in via analogica all’art. 19 LDIP, ad applicare le norme di applicazione necessaria di un Paese straniero.
Il caso di specie, che chiameremo “cavallo di Singer”, consentirebbe ad Elliott di introdurre già dinanzi al TAS (magari proprio in questo secondo ricorso) argomentazioni pesanti riguardanti i contrasti tra il FPF e il diritto comunitario, come lo scrivente ha avuto modo di sottolineare in questo approfondimento di gennaio: Link. Il precedente è relativo all’applicazione del diritto comunitario antitrust come norme straniere di applicazione necessaria. Parliamo del caso CAS 98/200 AEK Athens & Slavia Prague vs. UEFA (emanato il 20 agosto 1999).
In questa disputa, le due succitate società furono escluse dalla competizione europea perché di proprietà di uno stesso soggetto, ma la suddetta regola fu introdotta “in corsa” dalla UEFA, ossia quando i due club si erano già qualificati. Il ricorso, inizialmente vincente in via cautelare, ammetteva temporaneamente i due club alle competizione 99/00 ma li escludeva dalla successiva.
Questa decisione è importante perché sottolinea l’immediata possibilità del TAS di analizzare le norme UEFA coerentemente col diritto comunitario. Quindi prima ancora di adire i giudici ordinari. Ecco infatti cosa dicevano i giudici di Losanna nel summenzionato precedente:
“…ai sensi dell’articolo 19 del LDIP, un tribunale arbitrale seduto in Svizzera deve prendere in considerazione anche le norme obbligatorie estere, anche di una legge diversa da quella determinata dalla procedura di scelta della legge, a condizione che siano soddisfatte tre condizioni: a) tali regole devono appartenere a quella speciale categoria di norme che devono essere applicate indipendentemente dalla legge applicabile al merito (cd loise d’application immédiate); b) deve esistere uno stretto legame tra l’oggetto della controversia e il territorio in cui sono in vigore le norme obbligatorie; c) dal punto di vista della teoria e della prassi giuridica svizzera, le regole obbligatorie devono mirare a proteggere interessi legittimi e valori cruciali e la loro applicazione deve consentire una decisione appropriata. Il gruppo di esperti scientifici ritiene che tutte le suddette condizioni siano soddisfatte e che, ai sensi dell’articolo 19 del LDIP, la legislazione comunitaria in materia di concorrenza debba essere presa in considerazione. In primo luogo, le disposizioni antitrust sono spesso citate da studiosi e giudici come regole fondamentali tipicamente attinenti alla suddetta categoria di norme obbligatorie. Quindi, la stretta connessione con il caso deriva dal fatto che la normativa comunitaria sulla concorrenza ha effetto diretto in diciotto paesi europei – quindici dall’Unione europea e tre dallo Spazio economico europeo – nella cui giurisdizione si può trovare la maggior parte delle squadre di calcio più forti che prendono parte nelle competizioni UEFA e, in particolare, uno dei ricorrenti.Infine, la legge sui cartelli svizzeri, come nel caso di varie leggi nazionali sulla concorrenza in Europa (ben oltre i confini dei diciotto paesi), è stata ispirata e modellata sulla normativa comunitaria in materia di concorrenza; di conseguenza, gli interessi e i valori protetti da tali disposizioni comunitarie sono condivisi e supportati dall’ordinamento giuridico svizzero (così come dalla maggior parte dei sistemi giuridici europei). Il gruppo di esperti scientifici osserva che i ricorrenti hanno sostenuto tra l’altro che la UEFA ha violato le disposizioni del trattato CE sul diritto di stabilimento e sulla libera circolazione dei capitali, ma le parti non hanno esplicitamente concordato l’applicabilità di tali disposizioni alla presente causa. Tuttavia, per gli stessi motivi delineati in relazione al diritto della concorrenza della CE (sopra, punti 10-11), il gruppo di esperti scientifici ritiene che debba anche tener conto delle disposizioni comunitarie in materia di libertà di stabilimento e circolazione dei capitali“
Le premesse appaiono ottime: il TAS, infatti, ha già affermato di poter statuire sui possibili contrasti tra normative UEFA e libera circolazione di capitali. Tuttavia nel merito la questione non si è conclusa positivamente. Infatti quella normativa, che consentiva la partecipazione alle competizioni UEFA soltanto ad uno tra i club posseduti da uno stesso proprietario, fu ritenuta coerente col diritto comunitario. E la sanzione del ban addirittura proporzionale.
Ciò premesso, le basi fattuali che giustificarono quella decisione sono completamente cambiate. Infatti il CAS all’epoca sostenne questo:
“L’articolo 43 (ex 52) del trattato CE vieta «le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro». Ai sensi dell’articolo 56 (ex 73 B) sono vietate tutte le restrizioni alla circolazione dei capitali e ai pagamenti all’interno della Comunità e tra gli Stati membri e i paesi terzi. Entrambe le disposizioni sono direttamente efficaci e possono quindi essere applicate dai tribunali nazionali o dai tribunali arbitrali.
I ricorrenti affermano che l’essenza della norma controversa è di limitare la possibilità per i proprietari di più club di creare filiali in più di uno Stato membro della CE, in violazione dell’articolo 43 (ex 52) del trattato CE. Le ricorrenti asseriscono inoltre che la norma controversa limita i movimenti di capitali ai sensi dell’articolo 56 (ex 73 B) del trattato CE. Il Resistente replica che la Regola Contesa, anche se presa da tali disposizioni CE, non le violerebbe perché è un mezzo proporzionato per raggiungere un obiettivo legittimo. Il Gruppo di esperti osserva che la Regola Contesa non comporta alcuna discriminazione basata sulla nazionalità di una persona (o di una società); pertanto, secondo il gergo del diritto comunitario, può essere definito come una «misura altrettanto applicabile». Di conseguenza, anche supponendo che la norma contestata limita in qualche modo il diritto di stabilimento o la libera circolazione dei capitali, la giurisprudenza CE prevede l’esistenza di giustificazioni motivate da ragionevolezza e interesse pubblico, a condizione che siano soddisfatti i requisiti di necessità e proporzionalità ( vedi supra, paragrafo 130).
Come ha già rilevato il gruppo di esperti scientifici, la Corte di giustizia ha dichiarato che «in considerazione della notevole importanza sociale delle attività sportive e in particolare del calcio nella Comunità, gli obiettivi di mantenere un equilibrio tra i club preservando un certo grado di uguaglianza e incertezza quanto ai risultati … devono essere accettati come legittimi» (sentenza del 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, Racc. 1995, I-4921, punto 106).
Pertanto, l’obiettivo della Regola Contesa di preservare l’autenticità e l’incertezza dei risultati – prevenendo il conflitto di interessi inerente ai club di proprietà comune che partecipano alla stessa competizione calcistica – è certamente da considerarsi in linea di principio una giustificazione legittima, a patto che l’obiettivo è perseguito attraverso mezzi necessari e proporzionati.
Il gruppo di esperti scientifici ha già riscontrato che la Regola Contesa soddisfa i requisiti di necessità oggettiva e di proporzionalità (vedi sopra, paragrafi 125-136).
Di conseguenza, il gruppo di esperti scientifici sostiene che la norma contestata non viola l’articolo 43 (ex 52) e l’articolo 56 (ex 73 B) del trattato CE”
Una prima distinzione riguarda proprio la necessità e la proporzionalità della “Regola Contesa”, nel nostro caso l’esclusione dalle coppe e il monitoraggio senza sosta del Fair Play Finanziario in pendenza di misura disciplinare (sospeso discrezionalmente solo nei casi di Settlement Agreement). Il TAS, infatti, potrebbe essere chiamato ad esprimersi sulla necessità e proporzionalità di tali regole rispetto al diritto comunitario e valutare se passano indenni il c.d. “Gebhard Test” (Caso C-55/94):
“Le misure nazionali che possono ostacolare o rendere meno attraente l’esercizio di libertà fondamentali garantite dal Trattato, possono nondimeno sfuggire al divieto se perseguono uno scopo legittimo compatibile con il Trattato. Perché sia così, tuttavia, esse devono soddisfare quattro ulteriori condizioni:
devono essere applicate in modo non discriminatorio; devono essere giustificate da primarie ragioni di pubblico interesse; devono essere idonee ad assicurare il raggiungimento dell’obiettivo che perseguono; non devono andare oltre ciò che è necessario per il raggiungimento di tale obiettivo;”
Il Milan, tuttavia, ha già ottenuto una prima vittoria, nello specifico sulla proporzionalità della “sanzione” comminataci lo scorso anno (l’esclusione dalle coppe), ritenuta infatti esagerata dal TAS. Ma il collegio di Losanna ancora non si è espresso sulla necessità di un altro aspetto del FPF, quello relativo al monitoraggio in pendenza di sanzione che limita fortemente la possibilità di investire. Problema che potrebbe essere sollevato proprio da Elliott in questo nuovo procedimento cumulativo.
Ad ogni modo, se leggiamo perché all’epoca la “Regola contesa” relativa alle multi proprietà venne considerata proporzionale, probabilmente ci scapperebbe un sorriso. Le motivazioni infatti appaiono ormai superate dall’epoca odierna in cui viviamo:
“Per quanto riguarda la proporzionalità, il gruppo di esperti scientifici osserva che la regola contestataè stata circoscritta per vietare solo la partecipazione alla stessa competizione UEFA di club comunemente controllati e non vieta la proprietà del multi-club in quanto tale. La Regola Contesa non proibisce la partecipazione di club comunemente controllati in due diverse competizioni UEFA e non impedisce l’acquisto di quote – fino al 49% dei diritti di voto – in un gran numero di club che partecipano alla stessa competizione. Poiché la portata della Regola Contesa è strettamente limitata alla partecipazione alla stessa competizione UEFA, un proprietario di più club può controllare i club in diversi paesi e ottenere un buon ritorno sugli investimenti anche se solo uno dei suoi club è autorizzato a prendere parte a una determinata competizione UEFA. A questo proposito, la già citata relazione MMC contiene alcune prove – riferite al mercato britannico, ma probabilmente rappresentative di altri mercati nazionali – che suggeriscono che il massimo campionato nazionale (in Inghilterra la Premier League) e la coppa nazionale (in Inghilterra la FA Cup ) sono le competizioni calcistiche preferite dai consumatori e più economicamente gratificanti, grazie alla loro combinazione unica di volume e popolarità delle partite (Rapporto MMC, paragrafo 2.22). In effetti, in risposta a un’indagine britannica del 1996, il 71% degli abbonati alla televisione a pagamento che guardavano il calcio ha dichiarato che la Premier League era molto importante per loro e il 68% ha affermato lo stesso della FA Cup; solo il 50% ha dichiarato lo stesso delle partite della UEFA con club britannici (ibidem). Inoltre, il numero di partite della UEFA giocate da un club (anche se si raggiunge la finale) è sostanzialmente inferiore al numero di partite nazionali e di coppa nazionale. Di conseguenza, le società calcistiche europee continuano a ricavare la maggior parte delle loro entrate dai campionati nazionali e dalle partite di coppa; ad esempio, circa il 75% dei profitti del Manchester United proviene dalle partite della Premier League (ibidem, punto 2.125). Alla luce dei suddetti dati e osservazioni, e della circostanza che la partecipazione alle competizioni nazionali non sia affatto influenzata, il gruppo di esperti scientifici ritiene che la norma contestata sembra prima facie essere limitata al proprio obiettivo e non essere sproporzionata o irragionevole. Questa conclusione prima facie deve ora essere esaminata alla luce del test alternativo meno restrittivo (…)
“… In conclusione, il gruppo di esperti scientifici ritiene che la regola contestata sia una caratteristica essenziale per l’organizzazione di una competizione calcistica professionale e non è più ampia del necessario per raggiungere l’obiettivo fondamentale di prevenire conflitti di interesse che sarebbero percepiti pubblicamente come fattori che ne influenzano l’autenticità, e quindi l’incertezza, dei risultati nelle competizioni UEFA. Il gruppo di esperti scientifici ritiene che la norma contestata sia proporzionata a tale obiettivo legittimo e rileva che non esistono alternative attuabili e realistiche meno restrittive. Di conseguenza, anche alla luce delle precedenti constatazioni che la Regola Contesa non sembra avere l’oggetto o l’effetto di limitare la concorrenza, il Gruppo di esperti scientifici ritiene che la Regola Contesa non violi l’Articolo 81 (ex 85) del Trattato CE.”.
Quanto affermato nel 1999 non è più valido oggi, dato che la partecipazione alle coppe europee producono:
maggiore visibilità rispetto ai campionati nazionali, vantaggio annullato completamente in caso di ban dalla competizione europea; quindi una maggior possibilità di ritorno economico dell’investimento; ingenti introiti che, in alcuni casi, sono pari se non superiori agli incassi dei diritti TV nazionali. Pensiamo a quanto incasserà l’Ajax dall’ultima CL o quanto ha incassato la Roma giunta in semifinale di CL. Oppure agli incassi EL di un club greco che arriva fino in fondo, a fronte dei diritti tv nazionali;
Appare evidente, quindi, che a seconda della squadra colpita, un ban dalla competizione europea comporterebbe un danno economico rilevante sotto diversi aspetti contrariamente a quanto si poteva pensare 20 anni fa. Dunque per tali motivi un regolamento come quello del FPF che impone il pareggio di bilancio in un ristretto arco temporale o che, in ogni caso, impone di limitare i deficit entro un certo limite, pena l’esclusione dalle coppe, non appare proporzionale al fine perseguito. Soprattutto nella misura in cui la stessa partecipazione alla competizione europea, guadagnata sul campo, potrebbe aiutare il club ad incrementare gli introiti.
In altre parole, un sistema che ti obbliga ad avere i conti in ordine ma che, tra le sue sanzioni, prevede il taglio delle proprie risorse nei tuoi riguardi (anche attraverso l’esclusione dalle coppe), nella consapevolezza che quelle risorse potrebbero essere decisive per rispettare l’obbligo finanziario che essa stessa ti impone, appare un chiaro abuso nei confronti dei club. Quest’ultimi, infatti, per rispettare il FFP, e dunque evitare di ricevere sanzioni, dovrebbero fortemente limitare o contenere gli investimenti, riducendo le proprie possibilità di vittoria e/o di competizione in un arco temporale sufficiente a causare una perdita di terreno dalle rivali.
Per questi motivi, oggi, alcune parti del FPF rischierebbero di essere considerate, oltre che non necessarie, nemmeno proporzionate all’obiettivo perseguito. Ed infine, appare difficile non individuare alternative meno restrittive, dato che sarebbe sufficiente impedire la partecipazione alle competizioni UEFA a quei club che avessero debiti scaduti; tollerando, infine, tutte quelle società che garantissero i propri debiti.
L’impugnabilità del lodo TAS.
Dal momento che la sede di tutti gli arbitrati TAS è Losanna, Svizzera (art. R28 Codice TAS), il giudice statale che ha la giurisdizione per le azioni dirette all’annullamento dei lodi arbitrali emessi dal TAS è la Suprema Corte svizzera, ossia il Tribunale Federale o “TF” (Art. 191.1 PILA).
L’art. 190.2 PILA stabilisce le ragioni per le quali un lodo TAS può essere impugnato dinanzi al TF:
l’arbitro unico è stato nominato irregolarmente o il tribunale arbitrale è stato costituito irregolarmente; il tribunale arbitrale si è dichiarato, a torto, competente o incompetente; il tribunale arbitrale ha deciso punti litigiosi che non gli erano stati sottoposti o ha omesso di giudicare determinate conclusioni; è stato violato il principio della parità di trattamento delle parti o il loro diritto di essere sentite; è incompatibile con l’ordine pubblico.
Dunque l’AC Milan, o anche la UEFA, qualora ne ravvisassero gli estremi e non fossero soddisfatte dall’esito del contenzioso dinanzi al TAS, potrebbero impugnare il lodo per una delle seguenti ragioni e proseguire la battaglia legale dinanzi al tribunale ordinario svizzero.

Nota: Questo articolo è stato ripreso dal Blog del proprietario ed è raggiungibile QUI

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