leonardo

 

Leonardo de Araújo, storia di un buonista a cui tutto è concesso

 

Dà l'impressione di essere perfetto ma, in carriera, non si è mai cimentato a lungo in attività serie

 

Fatemi fare una premessa a quest'articolo, dato che ormai è consuetudine che ogni opinione venga contraddistinta da una etichetta.
Personalmente ho sempre cercato di dire la mia su ogni argomento (conoscibile) formando la mia opinione in maniera completa. Ho sempre attinto più informazioni possibili da fonti diverse e le ho giudicate in base al mio modo di pensare ed alla mia coerenza. Non conosco altro sistema per esprimere opinioni, ragion per cui rifulgo in maniera totale tutti quelli che hanno bisogno di creare partiti prima di esprimere un'idea. Il ragionamento secondo cui "io appoggio Tizio per cui non posso criticarlo", non fa parte del mio modo di stare al mondo.
Pertanto se il vostro modo di ragionare è settario evitate di continuare la lettura di questo pezzo che non ha alcuna attinenza con le posizioni espresse dalla Curva Sud o da chi, nel suo piccolo, ha bisogno di versare un obolo immaginario prima di esprimersi.
L'argomento è Leonardo ed il suo possibile futuro come dirigente del Milan. Dichiaro sin da subito alla dogana del pensiero, che questo signore a me non è mai stato particolarmente simpatico.
Nulla di personale ci mancherebbe, semplicemente credo che se ami sportivamente uno come Gattuso (pane al pane, vino al vino), non puoi amare nel contempo anche un maestro del buonismo come l'ex allenatore dell'Inter.
La mia antipatia naturale per Leonardo non mi fa tuttavia essere cieco.
Da giocatore, è stato un sublime incantatore delle folle.
Il suo arrivo al Milan è stato un bel momento ed è innegabile che il 16esimo scudetto rossonero, porti in modo indelebile la sua firma.
Tuttavia il contributo fattivo di Leonardo al Milan finisce proprio nel maggio 1999. Le sue ultime due stagioni da milanista regalano qualche gol, tante panchine e moltissimi guai fisici. Il brasiliano soffriva di pubalgia cronica e si stava avviando lentamente verso la fine della carriera.
Aveva praticamente smesso, quando nell'autunno del 2002 ci fu l'addio al calcio giocato di Zvonimir Boban.
Leo vi partecipò come ex compagno ed in quella occasione ricevette l'offerta del Milan di tornare nel club doveva aveva giocato per chiudere lì la carriera ed iniziare quella di dirigente.
Leonardo accettò e dopo qualche mese da aggregato alla prima squadra divenne il responsabile di Fondazione Milan.
Si occupava di beneficenza e, nei ritagli, faceva anche l'assistente di Adriano Galliani, plenipotenziario dell'epoca.
Risale a quest'esperienza la leggenda secondo cui Leonardo avrebbe fatto prendere al Milan Kakà, Pato e Thiago Silva. Di leggenda trattasi però, dato che il Milan aveva un direttore generale esecutivo che si chiamava Ariedo Braida, il quale nella sua vita aveva condotto tante acquisizioni importanti e non si capisce perchè avrebbe dovuto lasciar condurre il mercato a Leonardo. Il brasiliano semmai avrà certamente avuto una funzione consultiva, ma è una cosa molto diversa rispetto a quanto viene fatto passare.
Semmai c'è agli atti una dichiarazione di Paolillo, ex agente di Kakà, secondo cui il merito del trasferimento del suo assistito è tutto di Braida, dato che Leonardo non era convinto dell'affare, avendo il Milan già Rui Costa e Rivaldo in organico.
Insomma Leonardo si dedica con profitto alla beneficenza ed ha la possibilità di crescere professionalmente all'interno del Milan che, all'epoca, era una delle società modello in Italia e nel mondo.
La sua formazione è tutta rossonera.
Gli viene poi offerta la panchina del club, visto l'addio di Carlo Ancelotti nel 2009. Leonardo accetta ma, dopo 12 anni di Milan, fa finta di dimenticare che, da sempre, Silvio Berlusconi si pone in una dialettica pubblica con i suoi allenatori. Ed al primo "testardo" diventa permaloso come un gatto a cui hanno morso la coda. Talmente testardo da ergersi sull'altare della vittima contro il Silvio cattivo che aveva osato criticarlo.
Sacchi, Capello, Ancelotti si. Lui no. Lui non doveva essere criticato.
Questa la logica ferrea leonardiana secondo cui il presidente deve mettere la grana, ma non deve proferire parola. Nemmeno se Huntelaar viene schierato ala destra. Lui può.
Lui può tutto anzi, anche andare all'Inter qualche mese dopo, dichiarando che stava realizzando un sogno.
Al buonista Leonardo in fondo, sul piano meditatico, è sempre stato perdonato tutto, perchè i buonisti hanno quell'aria da santi immacolati per cui tutto va bene, loro sono nel giusto e contestarli significa commettere il reato di lesa maestà.
Vince una Coppa Italia con l'Inter, non prima di aver subito l'onta del derby del 2 aprile, quello in cui i milanisti gli restituirono pan per focaccia. Ma lui, come sempre, se ne uscì con le sue frasi filosofiche che dicono tutto e nulla. Aristotele gli ha sempre fatto un baffo.
Mai come il baffo che fece lui all'Inter decidendo di andar via in estate, lasciando una bella gatta da pelare nelle mani della dirigenza nerazzurra che non sapeva come sostituirlo.
La fuga dalle responsabilità, mascherata da scelta di vita, è sempre stata una specialità della casa.
Se ne andò al PSG, dallo sceicco, che gli mise in mano un budget dell'altro mondo con cui prese giocatori importanti. Facile, troppo facile così.
Nonostante questo, la sua esperienza finì male in Francia, per colpa di una squalifica, di qualche dubbio presidenziale di troppo per l'improvvisa ipervalutazione di Lucas e per qualche dubbio sulla sua trasparenza con un esonero sussurrato del tecnico in carica.
Dirà poi Carlo Ancelotti nel suo libro (Carletto, uno che mai parla male degli altri) a proposito del suo rapporto con Leonardo; "Leonardo era mio amico, o almeno così avevo creduto, eppure non mi diede nessuna vera spiegazione del perché mi avessero trattato in quel modo". Spesso le vere pieghe di un uomo possono nascondersi nei dettagli.
Quasi sempre si celano nei silenzi.
Fatto sta che, finita l'esperienza al PSG, Leonardo si è dedicato ad una lieta disoccupazione, interrotta da qualche commento rigorosamente buonista su Sky e da qualche panchina in Tuchia con l'Antalyaspor, dove è durato due mesi prima di dimettersi per scarsi risultati.
Eppure, al netto di questa carriera, Leonardo viene considerato un grande dirigente. Magari lo è davvero, ma avendo fatto il dirigente solo per 3 anni nella sua vita, non ci ha dato modo di accorgercene. O forse, più semplicemente, essendo un buonista, viene trattato con una considerazione che supera la sua statura morale.
E' il destino d'altronde di tutti quelli con la faccia da filosofi, col sorrisino falso e con la bacchettina del maestro sempre in bella vista.
Io continuo a pensare che sia un eccezionale venditore di sè stesso.
Si pone come l'uomo che potrebbe far tutto ma, in realtà, non sa fare nulla. È troppo preso da sé stesso per concentrarsi sulle cose proprie dei comuni mortali.
La parlata buonista, però, è l'oppio dei popoli. Bontà sua.
Dovesse essere, mi preparo ad accoglierlo al Milan, non con pregiudizio, ma senza sconti.
In carriera d'altronde, Leonardo non si è mai cimentato in attività serie per lungo tempo. Ha sempre preferito le scorciatoie o le fughe dalle responsabilità, celate dietro alibi improvvisi. E' tutto in linea col personaggio.
Non amando i buonisti non lo amerò mai.
L'augurio che gli faccio è che, come dirigente, possa stupirmi. Per il bene del Milan, l'unica cosa che conta davvero.

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