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Milan, sempre e solo Milan

 

Elliott c'è, Goldman pure. I magoni dei tifosi. Il calcio attorno al Milan

Con i tifosi, per i tifosi, solo per i tifosi. Quando si ha un appuntamento settimanale come questo, non si può non partire da loro. Dai magoni dei Milanisti, dalla loro costernazione, dal loro fiato sospeso, dalla loro preoccupazione, dalla loro ansia. Conosciamo bene qual è l'approccio dei tifosi all'editoriale del sabato. Vogliono capire cosa sappiamo bontà loro, farsi una idea del nostro umore (troppo buoni, ma conta zero) per intuire cosa possa accadere, confrontarsi con le nostre valutazioni. Sotto a chi tocca allora con il pochissimo che sappiamo: il riserbo sul nuovo azionista è massimo e di certo non è filtrato nulla a nessuno, anche a quelli che sanno tutto e che la raccontano come se sapessero tutto loro e se fossero addirittura avanti rispetto a quello che non è ancora successo; il ruolo di Elliott in queste ore è quello che abbiamo sempre conosciuto, di tutela, di protezione, di aiuto, di supporto, tanto è vero che anche giovedì sera ha preparato i soldi dell'aumento di capitale in caso fossero serviti (è nata con questo spirito l'operazione bancaria, con il giusto tempismo e la giusta preoccupazione), ma sempre rispettando ogni livello e ogni ruolo societario. Il socio? Crediamo che l'unica offerta abbastanza avanti sia quella di Goldman, ma ci sono state delle arrabbiature perchè, fonte loro, avevano chiuso la trattativa prima che, la scorsa settimana, il presidente Li cambiasse idea. Sappiamo anche che tutto il Milan ha il massimo rispetto di queste trattative tutte interne al business della proprietà. E rimane inerte, non per mancanza di trasparenze nei confronti dei tifosi (mancherebbe altro), ma perchè sono vicende così delicate e così fluide che si rischia di fare danni anche solo a bisbigliare.

Al netto di tutto questo, per amore e per rispetto del bene (il Milan), bisogna trovare una quadra. Perchè il tifoso rossonero oggi si sente Calimero e le prende da tutte le parti. L'ultimo vero momento di goduria è stata quella immagine di Alessio Romagnoli, con Marco Fassone e Massimiliano Mirabelli, che commentava il suo prolungamento contrattuale. Poi solo schiaffi. L'Uefa che ti viene addosso, come era accaduto nel 1985 dopo Milan-Waregem. Il mercato che non decolla e non prende forma, mentre tutte le altre tifoserie se la stanno spassando fra Santon, Nainggolan, Emre Can e Verdi. L'idea di un ratto di Suso che ci ha procurato gli stessi brividi che, da ragazzini, provammo per il passaggio di Collovati dalla nostra maglia a quella degli altri. Anche basta. Noi riteniamo sia impossibile che Suso possa cambiare casacca in maniera così traumatica, però solo parlarne è stata una fitta al cuore per i rossoneri veri, per i rossoneri duri e puri. Il Milan da un anno a questa parte ha trovato una sua quotidianità interna con ruoli chiari e compattezza, si è cucito addosso il dna giusto con Rino Gattuso, ma non ha mai trovato una vera e propria rotta di crociera. Il presidente Li, che appartiene ad una cultura molto più paziente e molto meno temperamentale della nostra, ha da prendere atto che, stretto fra i toni sprezzanti e inquisitori dell'Uefa, fra i countdown ansiogeni degli aumenti di capitale e i casi veri e presunti che gli vengono tirati addosso (dai soldi di rientro al fuggi fuggi, dai "Mondiali" di Kalinic a quel che volete voi), il Milan fa fatica a tenere una sua andatura, stabile e costante. E il Milan deve sempre essere il fondamento di tutto, la cosa che è tutta la nostra vita, l'unico vero orizzonte che abbia un senso.

Sappiamo di non far piacere ai nostri tifosi quando ci diciamo, anche noi e a nostra volta, pessimisti, sulla sentenza Uefa. Temono una nostra rassegnazione, una nostra consapevolezza. Ma certo che no, soffriamo come matti. Il nostro è un pessimismo realistico che non è rinuncia alla lotta. Mai. Processi alle intenzioni e processi politici non possono essere considerati elementi di giustizia. Se ne riparlerà al Tas di Losanna. Il Milan che vuole rialzarsi con coraggio e investimenti non ha bisogno di mazzate o di sentenze esemplare. Ha bisogno questo sì, di essere messo di fronte alle sue mancanze di questi anni, ai propri adempimenti, alla propria credibilità, ma volerlo vedere abbattuto e tramortito è miope e di corto respiro, la certificazione ulteriore di una norma, il Fpf, fallita nei suoi obiettivi e nella sua natura. L'Uefa come istituzione non può mettersi sullo stesso livello dei non milanisti che non vedono l'ora di sbellicarsi su Twitter. Quello che non ci piace è proprio questo spirito del calcio italiano, che non riesce a fare sistema e che vive rivalità e contrapposizioni come negli anni in cui c'era ben altra ricchezza media e tutto questo ce lo si poteva permettere. Quello che non ci piace del calcio italiano non è tanto che non abbia aiutato il Milan: niente pietismi e niente elemosina. Ma non ci piace che il calcio italiano cerchi di rifarsi una faccia e una verginità, assecondando la severità e il rigorismo dell'Uefa contro il Milan. Ma al calcio italiano, qualche cosettina la vogliamo ricordare. Quando il Milan sarà stato punito, messo al pubblico ludibrio e umiliato, tutti gli altri problemi resteranno. E non spariranno per la fermezza usata contro il Milan. Anche con il Milan fuori dall'Europa, i Mondiali continueranno senza la Nazionale Italiana: la Federazione resterà commissariata; i Diritti Tv resteranno assegnati in stile mercato del pesce; il Parma resterà sotto inchiesta; la finale di ritorno dei Playoff di Serie B tra Frosinone e Palermo rimarrà il triste teatrino che è stato: lo stadio dei giallorossi resterà bloccato dall'ennesima indagine per corruzione, con annessi arresti di politici, costruttori e responsanbili del cantiere; certe squadre continueranno a fare operazioni fittizie di mercato congegnate a orologeria e con poco fondamento solo per rientrare nei parametri del Fair play finanziario. Il Milan, caro calcio italiano, serve a tutti. Ma non libera tutti.

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