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Eccoci, siamo i Milanisti!

 

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Da quando l’Uefa ha reso note le sue “incertezze”, è come se tutti, avversari, analisti, osservatori, addetti ai lavori, avessero fra i denti le carni sanguinolente del Milan.
Non suoni troppo enfatico allora il titolo. In realtà è tutto molto semplice: visto che tutti la sanno lunga sul Milan, che tutti sanno come infierire, sanno come mancare di rispetto, visto che tutti non parlano d’altro che del Milan, tenendo ben coperte e mascherate le altre situazioni del calcio italiano, vale allora la pena stare al gioco.

Presentarsi. Spiegarsi e raccontarsi a chi si sveglia ogni mattina pensando a come dirla o scriverla sempre più cattiva sul Milan.
Eccoci allora, siamo i Milanisti. Gente che vive, che ama, che sogna, che piange, che gioisce. Gente che quando sbaglia paga, senza scorciatoie e senza mezze misure, ma anzi con tutto il carico di interessi del caso.
Gente che trentadue anni fa veniva data per morta e sepolta e che invece ha amato, vissuto e goduto come nessun altro. Eccolo, il motivo del livore.
Ai molestatori social, e forse non solo a loro, il Milan fa comodo quando paga per tutti come nel 1980, quando a causa di una partita fra onestissimi giocata 17 contro 5 nel 1982 viene sbattuto nel fango della retrocessione, quando con gli uomini della Finanza nella vecchia sede di via Turati all’esterno si pregusta una Milano mono-squadra, senza rivalità, quando ormai dopo Marsiglia il Milan è finito, quando ormai dopo Istanbul il Milan è finito, quando ormai dopo Kakà, quando ormai dopo Ibra e Thiago Silva, fino al prossimo baratro, quello dell’Uefa che si sostituisce ai cavalieri senza macchia e senza paura e che finalmente scoperchia il Milan, lo smaschera, lo affossa, lo marchia indelebilmente.

Dopo quasi 119 anni di Storia, un nuovo crocevia di carattere legale attende il Milan.
Se non sappiamo come finirà e se siamo pessimisti, non è assolutamente per rassegnazione o altri sentimenti simili. Ma, perché nonostante l’ottimo lavoro fatto in ordine alfabetico dagli avvocati Cappelli e Lago sulla memoria difensiva di oggi, quello del leguleio non è mai stato il terreno specifico del Milan. Non è casa sua.
Fare lobby prima di un grado di giudizio non è nel suo dna.
Al Milan nel 1963 venne rubata la coppa Intercontinentale contro il Santos di Pelè per le nefandezze dell’arbitro argentino Brozzi che poi venne radiato, ma al club nessuno restituì il trofeo.
Il Milan nell’inverno del 1980 sbagliò profondamente, ma pagò per tutti, al contrario di quello che accadde per altre gare giocate a Bologna e a Genova: quel giorno in cui Felice Colombo era nel suo ufficio di via Turati e vide arrivare la valigetta con i soldi, era silenzioso, di cattivo umore, stretto in un dramma come ci ha raccontato Gianfranco Taccone, non voleva farlo, voleva uscirne, ma in silenzio gli fecero capire che ormai si era messo in moto un meccanismo, che non ci si poteva tirare indietro e che turandosi il naso bisognava farlo. La valigetta, nella sua rozzezza e semplicità, è ben diversa da certe tele di ragno che sarebbero state costruite nei decenni successivi, ma venne scoperta e bisognava pagare. Caro. Tanto. Per tutti.

Ma certo. Come forse sta per accadere con il prossimo messaggio politico che si sta ripromettendo di mandare a tutti, attraverso il Milan, l’Uefa nel prossimo grado di giudizio. La storia è per l’appunto ciclica, scorre ma non del tutto.
Come quando il Milan si è sentito solo di recente, quando gli è stato detto che erano problemi suoi, non del calcio italiano. Solo il Milan, solo come sempre.
Come in quell’albo d’oro che era stato scolpito, quasi come fosse stato concordato a tavolino, negli anni di Calciopoli, dal 2004 al 2006: scudetto alla Juventus, coppa Italia all’Inter, Europa al Milan. La quale Europa non voleva dire trofei. Il senso era ben diverso: loro che sono bravi nelle coppe europee, se la vedano lì…e non a caso, solo come sempre, in un terreno meno minato del calcio italiano, il Milan anche in quei due anni era stata la squadra italiana, contrariamente a quelle che vincevano i trofei nostrani, ad andare più avanti di tutte in Champions League.
Solo come sempre il Milan, nell’agosto del 2006, a beccarsi una tremenda lettera di reprimenda dell’Uefa: Milan, noi ti ammettiamo nelle coppe perché non possiamo farne a meno, ma occhio… alla benché minima scorrettezza… Dodici anni fa come allora, tutti gli avversari si facevano forti della violenza verbale dell’Uefa contro il Milan, perché non capivano che il richiamo era rivolto a tutto il calcio italiano e non solo ad un club… Pazienza, quella stessa Uefa, dieci mesi dopo, fece una lettera di encomio al Milan dopo la finale di Atene vinta contro il Liverpool, una lettera di elogio ai dirigenti, ai giocatori, ai tifosi del Milan per la loro correttezza e il loro spirito sportivo.

L’esempio vale ancora oggi, non ha perso un briciolo d’attualità, perché la Storia non si disperde nell’aria, la Storia è sulle zolle del campo, la Storia è sulle maglie, dentro i pilastri dello stadio ed è bene che ce ne sia uno spicchio anche nei faldoni delle istituzioni che non possono vivere in una torre d’avorio. Non manca ad esempio la Storia nei cuori di una tifoseria che i suoi trofei, i suoi cicli, i suoi fuoriclasse, non li esibisce per rinfacciarli al prossimo.
Il Milanista è il Milanista, piacere, qua la mano. Quando il Milan vince, il suo tifoso è felice, sorride, alza le braccia al cielo, non “usa” la sua conquista per sbatterla in faccia all’avversario.

Di recente abbiamo sentito un ottimo italiano come Carlo Cottarelli, parlare con orgoglio della diversità della sua squadra. L’orgoglio nessuno glielo tocca, ma la diversità non può essere solo un “non”: noi “non” siamo stati, non “non” abbiamo fatto. Aver saputo schivare, aver saputo aggiustare, avere avuto in soccorso qualche compromesso, non significa essere diversi. Significa essersela cavata. Goda e sia fiero il buon Cottarelli dei suoi colori, ma per quel che sono, per quel che valgono, per quel che hanno, fatto, vinto e conquistato in prima linea, in primo piano, in prima “persona”. Non in confronto e in disprezzo agli altri.

Il Milan e i Milanisti ce l’hanno la loro Storia, la loro, solo per loro, in sé e per sé, senza parametri e senza legacci.
Ha ancora tempo il calcio italiano, ha ancora qualche giorno utile, per capire che c’è una casa comune, un terreno condiviso che non può essere dileggiato, calpestato, offerto in sacrificio.
Perché il cuore del Milan di questi giorni, di queste settimane, di questi mesi, il cuore del Milan sotto il peso dello scherno mediatico, è quello di sempre. Quello indispensabile per il calcio italiano. Trasformarlo in capro espiatorio nei salotti e nelle camere di giudizio è una operazione piccola piccola: anche qui il Milan ha già dato. Nel 2006 si è beccato 38 punti di penalizzazione perché nei salotti si era deciso che per certe amicizie qualcosa si dovesse pagare (peccato che nessuno o quasi sapeva che Giacinto Facchetti e Leonardo Meani si incontravano lontano da occhi indiscreti per confrontare i rispettivi dati, le rispettive sensazioni e i sospetti che ne derivavano…), nel 2018 non può pagare per un collage fatto di luoghi comuni e di dichiarazioni rubacchiate.

Il Milan funziona, il Milan adempie, il Milan pianifica, il Milan piaccia o non piaccia ha le sue risorse, non merita di diventare la barzelletta di nessun social e guarda avanti, come sempre.
Anche sotto il fuoco di fila dei luoghi comuni, dei pettegolezzi e della guerra fra poveri con cui il calcio italiano, proprio a causa del Fair play Finanziario, è costretto a tirare avanti all’insegna di un mors tua vita mea di piccolissimo cabotaggio.

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