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Come si colma il gap in Europa?

 

Rifondare ed essere subito competitivi in Europa è arduo il solo pensarlo

 

Roma non è stata costruita in un giorno, ma ci sono voluti anni di lavoro e non pochi sacrifici per farla diventare “caput mundi”. Allo stesso modo non era assolutamente possibile immaginare che in una sola estate il Milan potesse costruire dalle fondamenta una rosa ed una squadra in grado di tornare competitiva ai massimi livelli a livello europeo, colmando il gap con i top club.

La gestione della squadra negli ultimi cinque anni della gestione Berlusconi ha mandato in frantumi una rendita di posizione a livello internazionale che il Milan si era guadagnato grazie anche, e soprattutto, alla stessa proprietà; è come se lo stesso artista avesse contribuito a scalfire l’opera d’arte che aveva sapientemente e pazientemente creato. L’incapacità di intervenire gradualmente sullo svecchiamento della rosa nel momento opportuno (dopo la Champions del 2007), la coincidenza del ritiro di tutte le vecchie glorie con la volontà della proprietà di chiudere i rubinetti degli investimenti e di rientrare in parte degli stessi (con le cessioni di Ibra e Thiago), le nuove dinamiche societarie con le conseguenti deleterie e stupide guerre intestine, hanno portato ad un’impoverimento clamoroso della squadra sotto il profilo tecnico e, soprattutto, quello caratteriale, con rose farcite di gente di secondo piano dove nessuno era neanche lontanamente in possesso della leadership e della personalità che invece farciva le rose degli anni precedenti. Aggiungiamoci alcune scelte scellerate circa le guide tecniche a cui affidare la squadre degli ultimi anni (la conferma dello “sfiduciato” Allegri nel 2013, la scelta di Inzaghi, il licenziamento di Mihajlovic per fare posto a Brocchi) e la frittata è fatta. Il merito della nuova proprietà è stata innanzitutto di aver raso al suolo ciò che c’era rivoluzionando quasi per intero l’intera rosa.

Dodici acquisti, dodici innesti di proprietà, nessun prestito da valorizzare, la costruzione di un telaio giovane su cui innestare elementi di provata esperienza e personalità (Bonucci, Biglia e Kalinic). Un progetto fatto con criterio, con l’obiettivo di investire subito sui giovani (alcuni già affermati ed altri con un grande potenziale) che rappresentano la base su cui costruire per poi andare a rinforzarla con 2/3 acquisti all’anno (magari di gente già affermata) per arrivare nel giro di qualche anno ad avere una squadra forte e competitiva a tutti i livelli. Questo processo richiede del tempo, e passa anche attraverso inevitabili errori che una società è condannata a commettere. È fisiologico che su 12 acquisti qualcuno non si riveli all’altezza o quanto meno faccia fatica ad affermarsi, così come a posteriori si è rivelato un errore affidare il progetto a Montella di cui forse questa stessa dirigenza non era convinta al 100%.

Ma il campo, col tempo, sta dimostrando la bontà del lavoro svolto, con una squadra cresciuta sensibilmente come gruppo e come singoli grazie anche e soprattutto alla scelta di un allenatore (Gattuso) che onestamente si è rivelata migliore di quanto si potesse preventivare. Oggi il Milan è una squadra forte, giovane (la più giovane della serie A), con un equilibrio ed una precisa identità, consapevole dei propri mezzi e della possibilità di crescere ancora e tanto. Il campo, però, l’altra sera ha evidenziato come forse questa creatura sia ancora acerba per poter competere coi club europei più blasonati. Tuttavia non bisogna assolutamente pensare di dover buttare tutto a mare sperando in altre rivoluzioni, campagne acquisti faraoniche o allenatori blasonati a cui affidare il rilancio. Il lavoro intrapreso è quello giusto, bisogna avere la capacità e la bravura di dargli continuità e seguito.

Credetemi, il fatto che quest’anno si stia disputando l’Europa League è una palestra che porterà ad una grande crescita di questa squadra e di questi giocatori, indipendentemente dal risultato finale che si riuscirà a perseguire. Ecco perché è una pura idiozia anche solo pensare che qualificarsi all’EL sia più un danno che un vantaggio, e che o si fa la Champions o meglio niente. Senza andare in giro in Europa a farsi le ossa e ad aumentare il tasso di esperienza si rischia solo di fare delle grandi figure di merda una volta che ci si ripresentasse ai gironi di Champions League dopo aver magari strappato un quarto posto in campionato.

Ecco, la prima cosa da fare è qualificarsi ogni anno a disputare le coppe europee, qualsiasi esse siano. In secondo luogo è necessario per il prossimo anno metter in squadra almeno tre innesti di spessore, in grado di aumentare in modo significativo il livello tecnico e di personalità della squadra. Una mezz’ala forte, un esterno in grado di saltare l’uomo e di garantire 8/10 gol fissi a stagione, un attaccante top. Io comincerei da qui, fermo restando che vengano confermati i giocatori migliori attualmente in rosa (e che quindi, non si sia costretti a “sacrifici” necessari).

E l’allenatore? Io mi terrei Gattuso, senza dubbi. L’esperienza da allenatore che gli manca viene più che compensata dalla grandissima esperienza acquisita da calciatore. Rino conosce tutto delle grandi serate di Coppa, dell’aria che si respira, delle corde da toccare e di come trasmetterle ai suoi ragazzi. Per il resto farà la sua esperienza da allenatore strada facendo: del resto nessuno nasce imparato. Credo che i cicli vincenti dipendano più dai calciatori a disposizione, e che l’allenatore deve essere soprattutto capace di non fare danni.

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