terza pagina

 

Il campione dal sorriso triste

 

Non è stato una bandiera del Milan, ma è una storia che merita di essere raccontata

 

autografoAvevo poco più di 15 anni quando cominciai a provare un affetto particolare per Agostino Di Bartolomei: durante l’estate del 1985 il mio conoscente Tommaso, casaranese come me ma da anni residente ad Inveruno, mi porto in regalo una foto con dedica ed autografo del suo amico Diba (ed amico anche della signora Marisa).
Per un ragazzino del profondo sud che vedeva i suoi idoli come qualcosa di lontano ed irraggiungibile fu un regalo eccezionale.
Tommaso mi chiamava sempre per cognome, per cui per anni nella mia cameretta ho avuto esposta quella foto con su scritto “A Sabato con simpatia! Agostino Di Bartolomei”!
L’affetto per quel calciatore non derivava solo da quell’episodio, ma anche dal fatto che l’arrivo al Milan di Di Bartolomei nell’estate del 1984 rappresentò per il tifoso del Milan dell’epoca un fatto importante: negli anni immediatamente successivi all’altalena tra la serie A e la serie B, l’acquisto dell’ex capitano della Roma, reduce da anni entusiasmanti e da protagonista, dimostrava che anche il Milan di Farina poteva acquistare un campione da una grande squadra (e la Roma dei primi anni 80 era una grandissima squadra).
Inoltre era la chiara dimostrazione che il progetto di rilancio rossonero da parte del “rientrante” Nils Liedholm era serio.
Fu intorno alle geometrie di Ago (come lo chiamavano i suoi vecchi tifosi) che si sarebbe sviluppato il nuovo gioco a zona del nuovo Milan.
Insomma, Agostino Di Bartolomei non è stato una bandiera del nostro Milan, ma la sua è una storia che merita, comunque, di essere raccontata.
Tutti noi almeno una volta abbiamo sognato di essere un calciatore di alto livello per godere dei privilegi che questo comporta: fama, ricchezza, belle donne. Un mondo dorato dove tutto sembra bello ed affascinante. Quando poi succedono storie come queste, ci rendiamo conto di quanto il fatato mondo del calcio si possa trasformare in un macigno in grado di schiacciarne i protagonisti. Se poi sei una persona seria, integerrima, che non è disposta a scendere a compromessi e sei troppo timido per essere disposto a “venderti l’anima” pur di compiacere a persone di quel mondo che sembrano più degli squali che degli esseri umani, allora il tuo mondo che ti volta le spalle ti appare ancora più crudele!
Ma andiamo con ordine.

Agostino Di Bartolomei nasce a Roma l’8 Aprile 1955, e nel suo quartiere, Tor Marancia, comincia a tirare i calci ad un pallone prima di arrivare nelle giovanili della Roma.
La scalata fino al debutto in serie A viene coronata nel 72/73 quando il 22 aprile, a 17 anni, fa il suo esordio a S.Siro contro l’Inter (Inter-Roma 0-0).
E’ la prima di una lunga serie di partite con la maglia giallorossa.
Alla prima giornata del campionato successivo (73/74) segna il suo primo gol in serie A.
Dopo 3 stagioni e 23 presenze viene mandato a Vicenza per maturare.

dibaAl ritorno nella capitale (1976) diventa un titolare inamovibile dei giallorossi, ed alla fine degli anni 70 diventa anche capitano della sua squadra del cuore.
Forte fisicamente, centrocampista roccioso, Agostino si mette in mostra per la sua classe indiscussa, per una visione di gioco sopraffina, per i suoi lanci millimetrici (definiti “da architetto”) e per la potenza del suo tiro.
Il suo unico difetto era rappresentato dalla poca velocità, ma pur di non toglierlo di squadra, il suo allenatore, il barone Nils Liedholm, si inventò per lui un nuovo ruolo.
Diba fu arretrato nel ruolo di libero, una posizione per lui ideale.
Nonostante le difficoltà iniziali, grazie al suo spiccato senso della posizione e grazie alla velocità del suo compagno di reparto Vierchowood, divenne uno dei migliori interpreti del suo ruolo.
La non necessità di correre dietro agli avversari e la possibilità di essere il primo giocatore della squadra ad impostare il gioco da dietro ed a sfruttare i suoi lanci lunghi rappresentarono i suoi punti di forza.

A tutto questo si aggiungeva un bel carattere ed una grande grinta, caratteristiche che gli permettevano di essere il trascinatore della sua squadra.
Quando poi la sua squadra si conquistava un calcio di punizione negli ultimi trenta metri d’attacco, la sua potenza al tiro diventava un’arma quasi inarrestabile.
Ogni punizione un pericolo per gli avversari; se non faceva gol, riusciva comunque a creare un brivido per l portiere avversario.
La sua percentuale di realizzazione era talmente alta che la curva, prima di ogni battuta, gli intonava il famoso coro “Ohhh Agostino, Ago Ago Agostino gol!”.
Dei suoi tifosi è un autentico idolo: è IL capitano della Curva Sud, e forse solo Totti ha avuto la capacità di affiancarlo in quel ruolo!
La caratteristica che lo ha sempre contraddistinto fu l’educazione in campo: mai una parola fuori posto, mai una protesta sguaiata, sempre la lucidità di parlare da capitano all’arbitro con le braccia dietro la schiena.
Un vero signore e campione di stile e comportamento.
Di lui colpiva la imperturbabilità dell’espressione: per una gioia o per un dolore, il suo volto sembrava sempre lo stesso. Il sorriso sempre triste.

Nella stagione 1983/84 guidò, da grande protagonista, la Roma alla conquista del suo secondo scudetto.
La sua stagione, nonostante giocasse da centrale difensivo, fu suggellata da ben 7 reti.

rmaMa la sua avventura più esaltante fu quella vissuta nella stagione successiva: da autentico leader trascinò i compagni alla conquista della storica finale di Coppa Campioni che quell’anno si disputava all’Olimpico di Roma. Il 30 maggio (tenete a mente questa data!) 1984, da capitano dovette sostenere la più grande delusione della storia calcistica della AS Roma.
Dopo una battaglia interminabile davanti ad un Olimpico stracolmo, la Roma di Liedholm dovette cedere il trofeo dopo i calci di rigore al Liverpool.
La delusione fu enorme.
Ago segnò il suo rigore, ma ebbe (a quanto pare) un feroce litigio col compagno brasiliano Falcao che, nonostante fosse uno dei leader della squadra, si era rifiutato di tirare uno dei rigori.
Quella sera qualcosa si incrinò!

Al termine di quella stagione (terminata con la vittoria della Coppa Italia) fu costretto dall’allora presidente Dino Viola a fare le valigie.
muroPer fare cassa, la Roma cedette il suo capitano al Milan, dove lo aspettava il suo grande maestro Liedholm.
In realtà le cause della sua cessione furono da ricercare nella venuta meno armonia coi compagni di squadra (e con la dirigenza con cui si lasciò malissimo) e nella scarsa adattabilità di Ago alla nuova e nascente Roma di Eriksson.
La sera della finale di Coppa Italia contro il Verona (sua ultima gara in giallorosso), la curva gli dedicò questo striscione: “Ti hanno tolto la Roma ma non la tua curva”!
In totale giocò coi giallorossi 308 gare (146 da capitano) segnando 66 gol.

Nell’estate del 1984 arriva, quindi, al Milan di Giussy Farina e Nils Liedholm.
Il Milan acquista Hateley, Wilkins, Terraneo e Virdis, e decide di affidare a Diba le chiavi del centrocampo e del gioco rossonero.
Il primo anno di Di Bartolomei con la maglia rossonera sarà estremamente positivo: disputerà 29 presenze in campionato e 12 in Coppa Italia, segnando in totale 9 reti (di cui 6 in campinato).
agostinoIn campo è un autentico leader: alla quinta giornata si prende la grande rivincita contro i suoi ex compagni, segnando il primo gol del Milan che batterà i gallorossi per 2-1.
Il gol fu accompagnato da una esultanza fuori dalla norma per il suo carattere, segno che Ago aveva da prendersi qualche rivincita contro la sua ex squadra.
Alla settima giornata farà ancora meglio: al 33’ del derby contro l’Inter, segna il gol del pareggio con un gran tiro dal limite.
Il Milan, dopo molta attesa, quel derby lo vincerà grazie al famoso gol di Hateley.
Per fare le cose in grande Di Bartolomei quell’anno sarà anche decisivo nella vittoria del Milan contro la Juventus alla diciannovesima giornata: al 46’ segna su rigore il gol del definitivo 3-2 a favore dei rossoneri.
La stagione si chiude con il 5° posto in campionato (riconquista della zona Uefa dopo una vita), e con la conquista della finale di Coppa Italia poi persa contro la Samp.

Di buon livello anche la stagione successiva (44 presenze totali e 3 gol) ed anche quella del 1986/87 (37 presenze e 2 gol).
In totale furono tre stagioni di grande sostanza e qualità, sanciti da ben 122 presenze e 14 gol.

Nel 1987 comincia l’era Sacchi, e Di Bartolomei (ormai trentaduenne) non possiede le caratteristiche per far parte di quella nuova e rivoluzionaria squadra.
Vene ceduto al Cesena (25 presenze e 4 reti) e poi si trasferisce a Salerno per contribuire a portare la Salernitana in B dopo oltre vent’anni di attesa.

famigliaAl termine della sua carriera si trasferisce insieme alla famiglia a vivere a San Marco Castellabate, in una splendida villa in riva al mare.
Aprirà una agenzia di assicurazioni a Salerno, e nel 1990 farà l’opinionista per la RAI durante i mondiali italiani.

L’ambizione di Agostino era, tuttavia, il ritorno nel mondo del calcio.
Dopo una vita spesa a favore della “sua” Roma, si aspettava di essere chiamato dalla sua ex società a ricoprire un ruolo dirigenziale.
Forse gli fu promesso, ma quella chiamata non arrivò mai.

Qualche problema economico, ma soprattutto la delusione per un mondo che gli voltò le spalle, rappresentarono un colpo durissimo per una persona come lui.
Lui aveva sempre giocato per la gioia di farlo, lui aveva sempre messo la lealtà in cima alla sua scala di valori, lui aveva sempre pensato che le partite si possono perdere, ma la dignità no, quella non si perde!
Il mondo che da giocatore lo aveva sempre protetto, ora sembrava essersi dimenticato di lui.
Ora non era più nessuno, ora non aveva più al suo fianco quelli che una volta considerava suoi amici.

corriereIl 30 maggio 1994, a dieci anni esatti dalla sconfitta nella finale di Coppa dei Campioni col Liverpool (una semplice coincidenza?), alle 10 del mattino Agostino Di Bartolomei si sveglia e, mentre il resto della famiglia dorme, si reca sul terrazzo in pigiama con in mano la sua pistola, una Smith&Wesson calibro 38. Nel silenzio generale e con il mare di fronte si spara un colpo al cuore. Ogni tentativo di soccorrerlo risulterà vano.
Lasciò un biglietto di scuse nei confronti della moglie Marisa e dei due figli per quello che stava per fare: aveva conservato la sua educazione e la sua indole anche nell’ultimo istante della sua vita, quello più drammatico, come quando si rivolgeva agli arbitri con le braccia dietro la schiena.
Su quel biglietto c’era scritto “Mi sento come in un buco”.
Quel giorno, alla notizia del suo gesto, tutto il mondo del calcio si interrogò sulle proprie responsabilità!

Ancora oggi, ad anni di distanza dalla sua scomparsa, la curva giallorossa non si dimentica di tributare un coro a favore del suo amato capitano.
Ed in piccolo anche questo tifoso milanista vuole ricordare l’uomo ed il campione dal sorriso triste che con un piccolo gesto (una foto con dedica ed autografo) era entrato per sempre, ed inconsapevolmente, nel suo cuore.

CIAO AGO!

ciao

banner orizz pubb mdtube

Su questo sito usiamo i cookies, anche di terze parti. Navigandolo accetti.