Rui costa - seedorf

 

La mia personale top 20 dei milanisti

 

Seconda parte: posizioni dal 15esimo all'11esimo

 

15) Mauro Tassotti. Non un giocatore, uvero e proprio simbolo. Arrivato al Milan dalla Lazio con due piedi che definire rivedibili era un eufemismo, ha saputo lavorare talmente tanto su sè stesso da diventare il terzino destro per antonomasia della storia del Milan moderno. Passo, intelligenza tattica, capacità di leggere le situazioni difensive in maniera egregia. E poi appartenenza. Raramente ricordo un giocatore ed un uomo così attaccato ai colori rossoneri come il grande Mauro. Aveva ed ha il Milan tatuato addosso. Uno di noi in poche parole che ha avuto il grande privilegio di alzare al cielo la Coppa dei Campioni a Barcellona da capitano del Milan. Nessuno, più di lui, lo meritava.

14) Rui Costa. I sogni di una notte di mezza estate spesso sono destinati a rimanere tali. Ed invece, l'attesa spasmodica per l'arrivo di Rui Costa al Milan nell'estate del 2001 si tramutò in una felice operazione che, ancora oggi, rappresenta quella più onerosa in entrata per il Milan. Manuel per me è stato il vero numero 10. Elegante, passo svelto, testa sempre alta ed una capacità di mandare in porta i compagni fuori dall'immaginario. Vedeva il gioco prima degli altri e capica con mezzo secondo di anticipo il tipo di movimento che avrebbe fatto l'attaccante. Ha avuto la sfortuna di incontrare sulla sua strada un grandissimo Kakà, senza il quale la sua storia rossonera avrebbe avuto qualche stellina in più.

13) Cristian Abbiati. Un portiere nel destino, un destino in un portiere. Certamente, se ognuno di noi chiude gli occhi ed immagina il portiere più forte della storia del Milan, non è Abbiati il primo nome che viene alla mente. Eppure, il bravo Cristian è entrato con prepotenza nella nostra storia. Ho scolpita nella mia memoria l'immagine di quel meraviglioso colpo di reni con cui nega a Bucchi il gol del pari e regala al Milan il 16esimo scudetto. Fu una parata sensazione. Meno bella stilisticamente, ma infinitamente più importante, fu quella su Kallon che valse la finale di Manchester. Ho sempre pensato che, fra i tanti trofei rossoneri, un giorno sarà giusto esibire anche il suo provvidenziale polpaccione.

12) Clarence Seedorf. La perfezione e l'armonia applicati al calcio hanno sempre avuto, a mio modesto avviso, i tratti e le sembianze dell'ex numero 10 del Milan e della nazionale olandese. Non parlo di uno di quei giocatori che ti entra dentro per la sua appartenenza viscerale al club o ai tifosi. Parlo però di un elemento in grado di darti l'esatta dimensione di quanto il concetto di perfezione possa essere applicato al gioco del calcio. Gestione del fisico maniacale, fondamentali tecnici che rasentavano l'eccezionalità. Clarence è stato il simbolo tecnico più evidente del Milan di Ancelotti che voleva vincere divertendo e stupedo. Un fantastico esempio di brasiliano nato per caso in Suriname.

11) Sergio Claudio dos Santos, detto Serginho. Qui siamo ai confini dell'immaginazione. Perchè spiegare come il nostro Sergio riuscisse a partire con quel primo passo e mantenere quell'accelerazione sulla corsa, è materia che non appartiene alla normalità. La scienza, un giorno, ci fornirà un motivo preciso. Quel passo però è stato il suo segreto. Credo sia uno dei giocatori che, per il potenziale che aveva, abbiamo sfruttato di meno. Era una saetta con i tocchi felpati e la faccia allegra. Mai una polemica, mai una parola fuori posto. Tirò il primo calcio di rigore in quel di Manchester con una freddezza tale da far invidia ad un iceberg siberiano. Per tanti, me compreso, non un giocatore ma una professione di fede.

 

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