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Un bis atteso sei anni

 

Dopo il Benfica di Eusebio, toccò all’Ajax di Cruijff inchinarsi al Diavolo

 

Il Milan che aveva vinto con irrisoria facilità il campionato italiano è campione d’Europa per la seconda volta. Con pieno merito, basti pensare al valore degli squadroni battuti turno dopo turno sulla strada della Coppa: Celtic, Manchester United, Ajax.

Sulla panchina rossonera è tornato a sedersi Nereo Rocco, dopo l’infruttuosa parentesi granata, che ha subito ritrovato il magico feeling col successo, costruendo una squadra ricca di stagionati campioni. Il tandem d’attacco Prati-Rivera è il punto di forza della formazione, irrobustita a centrocampo dai “califfi” Trapattoni e Lodetti e impenetrabile in difesa, dove il “ragno nero” Cudicini vive una sensazionale seconda giovinezza. Il primo turno dei rossoneri è abbastanza agevole anche se a Malmö incappano in un’inopinata sconfitta (1-2) ampiamente rimediabile al ritorno, come puntualmente accade grazie al trio d’attacco Prati-Sormani-Rivera (4-1).

Il Milan viene poi esentato dal secondo turno per sorteggio a causa del ritiro di numerose squadre dell’Est. In seguito all’invasione sovietica della Cecoslovacchia, il Celtic aveva chiesto che il sorteggio del primo turno venisse ripetuto separando le squadre occidentali da quelle orientali, in modo da non farle incontrare nel momento politicamente più critico per l’Europa. Quasi tutte le federazioni dell’Est allora ritirarono le proprie squadre, il tabellone risultò monco, e il sorteggio regalò il passaggio del turno a Milan e Benfica.

Nei quarti di finale i rossoneri sono opposti al forte Celtic di Jock Stein, vincitore del trofeo due anni prima. All’andata a Milano si gioca su un campo ricoperto di neve e in parte ghiacciato e il risultato non si schioda dallo 0-0 iniziale. Considerato che il Celtic è imbattuto in casa da parecchi anni, il ritorno assume le sembianze di una missione impossibile per il Milan. Invece un veloce contropiede di Prati al 12' del primo tempo regala la rete della qualificazione ai rossoneri, che si difendono gagliardamente per i successivi 78 minuti e resistono all’assedio.

Un’urna tutt’altro che favorevole li abbina poi in semifinale nientemeno che al Manchester United detentore del trofeo. L’andata si gioca a Milano: Sormani poco dopo la mezz’ora e Hamrin a inizio ripresa danno al Milan un vantaggio abbastanza rassicurante in vista del ritorno all’Old Trafford.
In Inghilterra lo United la mette sul piano fisico, ma Rivera e compagni non cadono nella provocazione. A 20 minuti dalla fine Charlton porta in vantaggio il Manchester creando le premesse per un finale incandescente durante il quale Cudicini, bersagliato da oggetti di ogni tipo lanciati dai tifosi inglesi, compie interventi prodigiosi che conducono il Milan in finale.

Al Chamartin, sede prescelta per l’atto conclusivo della competizione, il Milan trova l’Ajax del “Pelé bianco”, Johan Cruijff, con il suo “calcio totale” alla prima apparizione in una finale. Gli olandesi, giustizieri del Benfica nei quarti di finale, saranno i grandi dominatori dei primi anni ’70 ma a Madrid il Milan più esperto li annichilisce con un roboante 4-1. Il mattatore è Pierino Prati, autore di una tripletta, ma grandi protagonisti sono anche Rivera che dirige la squadra magistralmente, e Trapattoni, che riesce a bloccare il temuto Cruijff.

Anche se il tabellino dell’incontro premia indiscutibilmente Pierino Prati, è Gianni Rivera il deus ex machina di questo Milan. Sono i suoi lanci superbi a tagliare in due la difesa olandese e a innescare le turbine dell’ala sinistra rossonera. È lui il direttore di un’orchestra che suona all’unisono senza nessuna stecca, il leader di una squadra che già sei anni prima, quando ancora non aveva compiuto vent’anni, aveva condotto sul tetto d’Europa.
Il “golden boy” del calcio italiano aveva esordito in serie A nell’Alessandria a soli 15 anni, sul finire della stagione ’58-59.

Il Milan si fiondò su di lui immediatamente e dopo un solo provino Gipo Viani aveva già capito che quel ragazzino dal fisico asciutto avrebbe potuto cambiare i destini della squadra rossonera. Nel 1960 passa definitivamente al Milan, che lo aveva lasciato una stagione in Piemonte, e ne diventa il simbolo. Per la classe, la tecnica, l’intelligenza tattica diventa subito la risposta italiana a Pelé, anche se con la Nazionale non riuscirà mai a sfondare completamente. Dopo la parentesi iniziale con l’Alessandria, disputa diciannove stagioni consecutive in rossonero e conquista tre scudetti, due Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, due Coppe delle Coppe e quattro Coppe Italia.

 

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