Berlusconeide capitolo X (II)
La ferita di Istanbul (seconda parte)
Forse un otto volante può dare meglio la dimensione effettiva della stagione 2004-2005.
Di colpo a meno otto dalla Juve e all’improvviso a pari punti grazie a un gol allo scadere di Crespo con Lazio.
L’urlo in gola per il gol di Pirlo a Bergamo a tre secondi dalla fine che fa da contraltare con il pari beffardo con il Brescia in casa. La depressione di Eindhoven, una partita che sembra compromessa e il gol di Ambrosini negli ultimi minuti che regala il biglietto aereo per la finale di Instanbul.
Già proprio Ambrosini, emblema vero di questa stagione e degli errori in essa commessi.
La sua esclusione dall’undici titolare della partita dell’8 maggio contro la Juventus, è forse uno degli errori più grandi commessi da Ancelotti nei suoi otto anni rossoneri.
Il Milan era arrivato a quella sfida trovandosi a pari punti coi bianconeri, ma molto stanco e provato per via dell’impossibilità di allenarsi, tra un allenamento di scarico e uno di rifinitura, essendo sempre impegnato a giocare ogni tre giorni.
Ambrosini veniva da quel gol adrenalinico di Eindhoven e da un periodo di forma eccelso, così la sua esclusione dalla formazione iniziale rimane tutt’ora uno dei misteri più grandi della gestione Ancelotti, che gli preferì un Gattuso in fase discendente. I l ballottaggio con Seedorf in realtà non è mai esistito, in quanto Carlo, fedele al suo modo di vedere il calcio, non avrebbe mai giocato la sfida scudetto con due mediani ai lati di Pirlo.
Il Milan perse 1 -0 per effetto di un gol di Trezeguet e, andato il tricolore, il pensiero e la testa di tutto l’ambiente era concentrato integralmente sulla finale di Champions.
Nessuno poteva immaginare quale sarebbe stato l’epilogo.
Instanbul non è un momento bello della nostra storia, anzi è forse il più tragico dal punto di vista sportivo. Una partita perfetta rovinata da sei minuti di follia, una serata inaugurata dal gol di Maldini e che si conclude con il rigore tirato addosso a Dudek di Shevchenko.
Eppure proprio il gol del Capitano dopo nemmeno un minuto appariva come uno di quei presagi che ti segnalano che è iniziata una serata magica.
Il primo tempo di Milan Liverpool non è stato un match di calcio, bensì un manifesto del gioco del calcio, dove la perfezione viene raggiunta con la semplicità e l’intelligenza di un modo di stare in campo imperiale che si miscela ad un’attenzione e ad una concentrazione assoluta.
L’azione del terzo gol di Crespo è forse una delle più belle azioni che si sono viste su un campo di calcio negli ultimi anni.
Nulla si è sbagliato in quel primo tempo, talmente perfetto da lasciar nelle menti di tutti i milanisti come una sensazione strana di gioia non piena, perché quando tocchi l’apice della perfezione, poi puoi solo andare incontro ad un qualcosa di inspiegabile.
L’analisi di quei sei minuti di follia della serata di Instanbul ha diviso la critica in maniera forte.
Per qualcuno la panchina ha sottovalutato il gol a freddo del 3-1 di Gerrard che accorciava le distanze, non operando i giusti cambi, utili al fine di spezzare i ritmi degli inglesi.
Per un’altra parte della critica invece la componente della casualità ha influito molto, considerato anche lo sviluppo successivo della partita, col Milan che dopo il 3-3 ha ripreso ad attaccare e a giocare come se nulla fosse successo, convinto di riuscire comunque a portare a casa la coppa tanto desiderata.
Per una parte minoritaria della critica giornalistica infine, le ragioni di quella sconfitta e di quella rimonta assurda sono da addebitare alla spocchia e all’eccessiva presunzione dei giocatori del Milan, inconsapevolmente sazi sul 3-0, convinti forse che quel risultato andasse solo amministrato, senza tener presente che gli inglesi hanno nella fierezza e nell’orgoglio i tratti essenziali del proprio dna.
Fatto sta che la finale di Instanbul è diventata, negli anni, uno dei manifesti critici più importanti dei detrattori di Ancelotti, tanto che la posizione forte dell’estate 2005, in seno ai maggiori organi di informazione sportiva, era quella di un Milan a fine ciclo e di un allenatore che aveva fatto il suo tempo.
Una presa di posizione figlia, in larga parte, di un’onda popolare cavalcata e gestita a livello mediatico in maniera acuta e spesso parossistica.
Il Milan della stagione 2004-2005 infatti, non aveva avuto la continuità e i picchi di gioco del Milan della stagione precedente, ma aveva avuto un cinismo, una compattezza, una capacità di stare sul pezzo, forse ancora maggiore, se pensiamo che è andato vicinissimo al double, scudetto e Champions insieme.