La beffa dopo Rigopiano
Per l'Inail Gabriele non è morto sul lavoro
Per l'Inail Gabriele D'angelo non è morto sul lavoro. Eppure quando la slavina di Rigopiano ha travolto l'hotel, trascinandosi dietro detriti e anime, lui non era lì per rilassarsi o passare un fine settimana alla spa. Stava lavorando come cameriere.
Secondo Francesco, fratello gemello di Gabriele, l'Inail non riconosce quella di D'Angelo come una morte bianca. "Lo stabilisce una legge del '38, modificata trent' anni dopo - dice in una intervista al Quotidiano Nazionale - Se il tuo stipendio non serve al mantenimento della famiglia, non ti viene riconosciuto nulla. Detto in parole povere, non sei niente". Ad essere investiti da questa norma sarebbero anche altre famiglie di vittime della valanga. "Questa cosa fa male - aggiunge Francesco - Se penso a mio fratello, a quanta energia dedicava al lavoro... Ci teneva proprio". Il 32enne scriverà una lettera a Sergio Mattarella nella speranza che l'intervento del Capo dello Stato possa smuovere le acque o, magari, invitare il Parlamento (che nascerà) a correggere quella che in molti considerano una stortura. Non è tanto una questione di soldi, ma di principio. Il riconoscimento che Gabriele è morto sul lavoro. Non per caso. "Io lo invito qui, a Penne - aggiunge il fratello del defunto, rivolgendosi a Mattarella -. Gli chiedo una cosa sola: mi spieghi cosa significa Inail. Se è l' istituto del lavoratore e non riconosce che a Rigopiano ci sono state morti sul lavoro, allora chi tutela?".
Intanto continua l'iter legale che porterà ad accertare eventuali responsabilità su quella tragica notte del 18 gennaio 2017 a Farindola, in Abruzzo. Sono 23 gli indagati per la morte dei 29 ospiti e lavoratori dell'hotel diventato il simbolo dell'inverno dell'anno appena passato.