Berlusconeide capitolo IX (III)
Il Milan dei Meravigliosi (terza parte)
La vittoria della Champions però non è una gioia normale. Ti lascia dentro qualcosa di unico, un senso di leggerezza aulico che a volte ti porta un attimo lontano dalla realtà.
E’ questo un po’ il ritratto dell’estate del 2003 rossonera, un’estate fatta di sani sfottò, di una melodia che ricorre alle orecchie, si riassapora di nuovo il gusto di una vittoria che mancava da qualche anno.
Il clima di festa non è estraneo a Milanello, dove i giocatori sembrano rimasti con la testa ancora a Manchester.
I voli pindarici si sprecano e l’estate milanista si caratterizza da una serie di amichevoli perse anche malamente ed una Supercoppa italiana beffardamente regalata alla Juventus in una minirivincita in versione statunitense.
Nonostante ciò i rossoneri portano a casa la Supercoppa Europea a fine agosto, battendo il Porto di Mourinho in una finale non bellissima ma molto tirata ed equilibrata.
Tre trofei in quattro mesi ma la sensazione, diffusa, di non essere ancora al top.
Il Milan infatti nella stagione appena trascorsa ha palesato lacune evidenti in campionato , andando in difficoltà nelle partite in casa contro le piccole squadre che si chiudono.
Per qualcuno serve un ariete, per qualcun altro serve un giocatore sulla trequarti capace di far cambiare passo alla manovra.
I ventidue punti del girone di ritorno sono uno spettro che si agita con decisione dalle parti di Milanello e dintorni.
Ma dal Brasile è arrivato un giocatore che nessuno conosce, sembra quasi un bocconiano per come si è presentato all’aereoporto dopo ferragosto.
Ricardo Isecson Leite Kakà ha tutti i crismi del fuoriclasse e del predestinato.
Ad Ancona, prima giornata di campionato, conquista subito i tifosi del Milan con quel suo passo diverso, così tremendamente imprendibile, coi suoi tocchi magici, con la sua facilità di calarsi nella squadra, con quell’essenzialità europea miscelata al talento brasiliano.
Contro l’Inter poi segna, da predestinato, il suo primo gol in maglia rossonera, di testa, su assist di Gattuso.
Ma è solo qualche mese dopo, contro la Reggina a San Siro, che decide di prendersi davvero il Milan, di entrare di diritto e dalla porta principale al timone di comando della squadra.
Il suo gol del pareggio, dopo il vantaggio iniziale siglato da Torrisi, altro non è se non una gemma di rara bellezza, con un movimento da ballerino in mezzo metro e un colpo di punta da giocatore da biliardo.
Quello è il momento!
L’emozione che conquistò i tifosi, che fece intendere che era lui, quel ragazzo col viso così candido, colui che avrebbe deliziato negli anni la platea rossonera.
Nel mezzo, tra l’esordio di Ancona e la partita con la Reggina ci sono tanti avvenimenti che spiegano la stagione rossonera.
C’è l’affermazione in pianta stabile fra i titolari di Pancaro e Cafu, autentiche frecce delle fasce, c’è la scoperta di Tomasson come centravanti tattico, capace di giocare per Sheva e Kakà segnando anche un buon numero di gol, c’è l’infortunio di Inzaghi che privò il Milan tutta la stagione del suo bomber, c’è un gioco sempre più armonioso e spettacolare che si fa strada all’orizzonte, c’è una coppa del mondo per club persa sciaguratamente con la sostituzione di Kakà nel secondo tempo, che lascia ancor spazio alle recriminazioni.
Kakà infatti ha cambiato quel Milan. Non è più una squadra solo di possesso palla, ma è anche una squadra capace di cuocere a fuoco lento gli avversari e di decidere i ritmi della gara, poiché ha in Ricky e Sheva due giocatori capaci di cambiare la gara da un momento all’altro.
La partita di Roma con i giallorossi, la vittoria contro la Sampdoria a San Siro, il successo a Torino sulla Juve, il clamoroso derby vinto in rimonta, sono i picchi più alti e coinvolgenti del gioco della squadra, che si sente forte, sa di esserlo e gioca con una sfrontatezza che non ha pari.
Milan-Deportivo la Coruna, andata dei preliminari di Champions, finita col punteggio di 4-1 per il Milan, è senza dubbio una delle partite più belle della gestione Ancelotti.
La traumatica serata di quindici giorni dopo resta una delle macchie del percorso rossonero di Carletto. Quella Champions, considerato anche il livello delle semifinaliste, sembrava fatta apposta per il bis del Milan che in quel particolare momento non aveva rivali al mondo sul piano del gioco e della spettacolarità degli interpreti.
La stagione tuttavia termina con uno scudetto strameritato, il 2 maggio 2004 infatti il Milan batte la Roma 1 -0 a San Siro con gol di Sheva e la festa può esplodere.
E’ uno scudetto che porta la firma di tanti grandi autori e che ha esaltato il pubblico, cosa non facile oggi come oggi.
La stagione 2003-2004 però non passa alla storia soltanto per la vittoria del diciassettesimo scudetto della storia rossonera, ma anche in virtù di un crescente dibattito che si sviluppa attorno al Milan sul modo di giocare e sulle possibilità offensive relative alla rosa a disposizione di Carlo Ancelotti.
Nel Parlamento rossonero le posizioni che si confrontano sono fondamentalmente due: c’è il partito delle due punte sempre ed il partito dei fautori dell’albero di Natale.
La diatriba trova il suo più evidente epicentro mediatico alla fine del derby di ritorno, vinto in rimonta dal Milan.
I rossoneri perdevano 2-0 alla fine del primo tempo, un risultato casuale visto anche il modo fortuito in cui erano nati i gol dei nerazzurri, ma indicativo di una difficoltà offensiva che si era palesata già in partite precedenti.
Basti pensare a Milan Ancona di poche settimane prima.
L’Ancona era la cenerentola del campionato, la squadra con la peggior difesa e il Milan aveva chiuso 0-0 il primo tempo, senza riuscire a creare grosse difficoltà al portiere avversario e aveva sbloccato il risultato solo con un rigore ingenuo causato da Maltagliati.
Nel derby, per rimontare il risultato, fu decisivo l’innesto di Tomasson per Rui Costa, per dare più profondità al gioco e liberare il talento di Kakà.
Dopo la storica rimonta Berlusconi a fine partita tuonò contro l’allenatore, invitandolo a giocare sempre con due punte.
Carlo incassò, forse non gradì, il suo self control fu incredibile e nelle seguenti partite continuò ad alternare lo schema che riteneva più adatto al Milan, basti pensare che la gara scudetto fu giocata con due punte, mentre la gara precedente, a Udine, fu giocata con l’albero di Natale.
E’ indubbio che lo schema a due punte fosse più adatto alle caratteristiche di talento e di magia che quel Milan aveva, ma Carlo riteneva che l’abete fosse lo schema migliore per controllare le partite visto che Kakà tutto era tranne che un giocatore di possesso palla, bensì un fantasista che puntava l’avversario ad ogni possesso del Milan.
La diatriba è continuata anche nelle stagioni seguenti, anche se con tratti più velati, rappresentando forse il momento più alto della dialettica rossonera all’interno della società e fra gli stessi tifosi.
Le considerazioni a sostegno delle due tesi erano interessanti e nascevano da visioni del calcio diverse.
Controllare la partita o aggredirla?
Comunque al di là di queste divisioni quasi religioso-dottrinali di natura calcistica, considerato il livello di gioco degli scudetti successivi (i due juventini e i quattro interisti), si può senza dubbio affermare che lo scudetto del 2004 rimane il più bello sul piano stilistico dell’ultimo decennio.
Il rammarico è il non aver almeno bissato questo tricolore considerata la forza della rosa a disposizione e la vastità di scelte all’interno di essa.
Il turn over quasi nullo rimane una dei maggiori capi di imputazione che la critica ha avanzato ad Ancelotti nel corso degli anni.
Carletto, fedele alla sua idea di calcio, ha sempre puntato su un gruppo di 1 2-1 3 giocatori ogni stagione, cambiando il meno possibile e puntando spesso più sull’esperienza che sulla freschezza.
Una scelta molto ponderata, ma che si è portata dietro delle inevitabili obiezioni.
Fermo restando che i campionati 2004-2005 e 2005-2006 rimangono confinati in una dimensione diversa dagli altri, essendo tutt’ora in corso un processo penale con pesanti imputazioni di illecito sportivo ai danni dei massimi vertici juventini dell’epoca.
...alla prossima con "La ferita di Istanbul"