Berlusconeide capitolo IX (II)
Il Milan dei Meravigliosi (seconda parte)
Siamo ai quarti di finale della Champions League e la partita di andata ad Amsterdam è terminata 0-0, un punteggio non brutto ma pericoloso perché espone il Milan a dover attaccare senza subire reti.
Quel Milan si presenta alla sfida decisiva senza Gattuso e Pirlo squalificati, con Seedorf out e con Rui Costa rimesso in piedi solo poche ore prima della partita. Giocano Brocchi, Kaladze e Ambrosini a centrocampo.
La formazione è rabberciata, manca praticamente tutto il centrocampo titolare e non è disponibile nemmeno Serginho, l’uomo capace di cambiare la partita entrando a gara in corso.
Il turbinio incostante di emozioni che sovrasta San Siro è incredibile. Inzaghi porta avanti il Milan, Litmanen pareggia e Shevchenko riporta i rossoneri in vantaggio.
Sembra fatta ma Piienar a dieci minuti dalla fine gela lo stadio con un gol di rapina, sfruttando una palla sporca in area di rigore.
I minuti finali di questa partita non sono descrivibili. Chi li ha vissuti sa di cosa si parla.
Un silenzio irreale, il cuore in gola, il torello quasi irridente dell’Ajax, la troppa sicurezza dei lancieri, il Milan che sembra non averne più.
Ma su una delle ultime palle buttate avanti dal Milan, Ambrosini è bravissimo a spizzare di testa, Chivu scivola e Pippo si ritrova davanti a Lobont, costretto ad alzare un pallonetto lungo una vita, un’infinità di secondi da mozzare il fiato, con la palla appoggiata in rete da Tomasson sulla riga.
E’ gol!
Ancelotti balza in piedi dalla panchina, colmo di abbracci, con Gattuso che lo sovrasta quasi facendogli inghiottire la sigaretta che stava fumando.
San Siro è in delirio, la gente si dà gli schiaffi perché ancora non ci crede.
E’ semifinale, è euroderby, il primo della storia.
La settimana che precede questa partita tuttavia non è affatto semplice. Si susseguono voci e dubbi sulla permanenza di Ancelotti al Milan.
La tensione pre Milan-Inter è fortissima, la gente fatica a prender sonno perché sa che quel derby può ridefinire certe gerarchie cittadine consolidate da decenni.
L’andata finisce 0-0 e il ritorno sembra mettersi bene per il Milan che sblocca la gara con un lampo bellissimo del ritrovato Sheva.
Ma il gol di Martins a dieci minuti dal termine rimette tutto in discussione con Abbiati che deve superarsi per deviare un tiro di Kallon nel finale e con un attacco forsennato tutto cuore dell’Inter, capace di far spendere energie nervose fuori dalla norma a tutti i rossoneri d’I talia.
Ma a Manchester ci va il Milan, a giocare la sua prima finale tutta italiana, contro la Juve di Lippi, che nel frattempo ha superato il Real Madrid.
Manchester è un approdo importante, uno snodo fondamentale per tutto il Milan che è a secco di successi da 4 anni e che non vince una Champions addirittura da 9.
E’ una partita che vale doppio, contro la squadra che in I talia rappresenta il potere, quasi una sfida all’ultimo sangue, un duello rusticano senza regole.
Al Milan, che gioca meglio, annullano un gol regolare di Sheva dopo pochi minuti e poi la partita scorre via, tra qualche lampo e tanta paura.
I rigori non sono altro che lo sbocco inevitabile, anche perché i rossoneri sono in dieci per tutti i tempi supplementari, causa l’infortunio di Roque Junior.
Ai rigori i protagonisti sono i portieri con Dida e Buffon autori di grandi parate, ma è sul piede di Sheva il rigore decisivo, quello che regala ai rossoneri l’infinito.
E’ festa, è gioia, è libidine allo stato puro che fa saltare i tifosi in ogni angolo.
La vittoria della Coppa Italia tre sere dopo è solo un modo per festeggiare quella che per i milanisti è la coppa più bella.
Carlo Ancelotti ce l’ha fatta. I l brutto anatroccolo è diventato principe, il perdente di successo è adesso l’allenatore sul tetto d’Europa.
Ha superato le ironie, i pregiudizi, le cattiverie, le assurde e becere volgarità dei tifosi juventini nei suoi confronti.
Ha vinto perché ha saputo rimanere umile, perché ha creduto nei valori dello sport, della lealtà e della limpidezza e soprattutto perché si è dimostrato lucido doppiamente, scegliendo prima uno schema vincente (l’albero di natale) per poi avere la forza di correggerlo quando questo non funzionava più, inserendo stabili le due punte, con Sheva decisivo nella conquista della coppa.
La sua è una vittoria vera, è la vittoria di un uomo perbene, di un uomo di sport, di un allenatore autorevole ma mai autoritario, capace di far trovare gli stimoli e l’intensità giusta a un gruppo di giocatori difficile da gestire ma con tanta qualità.
...alla prossima con "Il Milan dei Meravigliosi" (terza parte)