storia milan 2

 

L’onda lunga della Scandinavia

 

Nella lotta per accaparrarsi i migliori stranieri della penisola scandinava, arriva il Gre.No.Li

 

L’onda lunga della Scandinavia si abbatte felicemente sul calcio italiano alla fine degli anni Quaranta, quando il paese era intento alla laboriosa ricostruzione postbellica e nel contempo cercava motivi di svago ed evasione dopo i lutti e le sofferenze. Si verificava uno dei frequenti paradossi italiani, per cui alla povertà diffusa fra la popolazione si contrapponevano gli sprechi delle società calcistiche, che strappavano con offerte irresistibili i giocatori migliori a nazioni molto più ricche di noi. Ci furono almeno tre motivi, per indirizzare sul Nord Europa, in particolare su Svezia e Danimarca, le avide attenzioni dei nostri mercanti del pallone. Primo: i calciatori di quei paesi godevano dello status di dilettanti, per cui erano ingaggiabili a costo relativamente modesto, in rapporto alle qualità. Soltanto improvvise aste fra i nostri club più potenti fecero poi innalzare i prezzi, inizialmente assai contenuti. Secondo: a differenza della nostra, o di quella tedesca, francese o inglese, quella gioventù era stata risparmiala dalla guerra, non ne aveva subilo la falcidie, né le privazioni ambientali o alimentari.
Terzo: alle Olimpiadi di Londra del ’48. prima grande manifestazione sportiva dalla fine del conflitto, il calcio nordico (anche per le ragioni sopra accennate) l’aveva fatto da padrone, nel torneo calcistico. Aveva vinto la Svezia, mentre la Danimarca si era piazzata terza, dopo aver duramente castigato (5-3) la Nazionale italiana di Vittorio Pozzo, che in quell’occasione concluse la sua lunga e straordinaria parabola di commissario unico, illuminata dai mondiali del ’34 e del ’38 e dall’oro olimpico del ’36. Non a caso, sei degli undici danesi che avevano battuto l’Italia, furono ingaggiati dalle nostre società.

L’apripista dell'invasione nordica, nel ’48, fu il danese John Hansen, che nel 5-3 danese all’Italia aveva firmato ben quattro reti. Mezzala di punta, alto, elegante, formidabile colpitore di testa, fu ingaggiato dalla Juventus che cercava nuove risorse per controbattere lo strapotere del Grande Torino. Osteggiato dall’inglese Chalmers, che allenava i bianconeri, John ebbe un inizio travagliato, tanto che Gianni Agnelli chiamò Pozzo per avere conferma che fosse proprio quell’Hansen affondatore degli azzurri, e non una brutta copia inviatagli dalla Danimarca, dove gli Hansen abbondano come i Rossi da noi. Pozzo gli dissipò i dubbi e al resto provvide lo stesso John, che in 187 partite con la Juve segnò 124 gol, vincendo la classifica cannonieri nel ’52 con trenta bersagli personali. Altri 15 gol mise a segno nella stagione laziale che concluse la sua permanenza in Italia. Dopo Puricelli, il calcio italiano aveva conosciuto un’altra testina d’oro. Alla Juve fu raggiunto l’anno seguente dai connazionali Praest, ala sinistra dal dribbling micidiale e dal cross pennellato, e Karl-Aage Hansen, arrivato via Atalanta, mezzala di assoluta competenza, costruttore di gioco e realizzatore imperioso. Con loro, la Juventus visse l’epopea dei grandi danesi, prodiga di spettacolo e di scudetti. Il Torino aveva incontrato la sua fatale Superga, e la Juventus ne aveva ereditato la leadership nazionale.

Ai danesi della Juve, il Milan rispose con i suoi svedesi doc. Nel gennaio del 1949 arriva in Italia il più grande uomo gol del dopoguerra, Gunnar Nordahl, detto il bisonte, o anche il pompierone, perché in Svezia il Norrkòping, per strapparlo al suo lavoro di tornitore, gli aveva appunto offerto un posto stabile di pompiere, con tanto di pensione per la vecchiaia. La storia è curiosa, perché su Nordahl arriva prima la Juventus, che nel Nord Europa ha agganci insuperabili. Però il club bianconero ha già avuto una questione con il Milan, che l’accusa di avergli scippato il danese Ploeger, giocatore conteso fra le due società, e allora Gianni Agnelli compie un gesto di grande magnanimità e risarcisce il Milan cedendogli la prelazione su Nordahl. Ploeger si rivela un fallimento, Gunnar diventa presto una leggenda. È il calcio. All’inizio Nordahl, che è tanto temibile all’aspetto (un colosso tutto muscoli) quanto buono d’animo e timido di carattere, stenta ad ambientarsi. Ha già ventisette anni, e il calcio professionistico ed esasperato dell’Italia lo lascia ammutolito.

Poi il Milan gli affianca i suoi compagni di Nazionale, Gunnar Gren, il professore, e Nils Liedholm, lucido e instancabile creatore di gioco. Nasce il Gre-No-Li, un terzetto da favola. Nordhal vince col Milan due scudetti e cinque volte la classifica marcatori, prima di chiudere la sua stagione italiana alla Roma. È arrivato da noi che aveva già ventisette anni, ma ha fatto in tempo a realizzare 225 gol in Serie A, che ne fanno il secondo cannoniere di ogni tempo nei tornei a girone unico, secondo soltanto a Silvio Piola. Poderoso e nel contempo agile, inarrestabile nelle progressioni, dotato di un tiro folgorante, resta il prototipo insuperato, forse insuperabile, del centravanti di sfondamento. Il passaggio in Italia gli fa perdere la Nazionale svedese e la possibilità di un record imbattibile: nelle trentatré partite giocate con la maglia della Svezia, aveva infatti già realizzato 43 gol: dove sarebbe arrivato con altri dieci anni di carriera? Gren delizia il Milan con il suo talento per quattro anni, poi passa alla Fiorentina e al Genoa. Liedholm invece gioca in rossonero per undici stagioni, sino al 1961, quando stacca a trentanove anni, per fermarsi da noi e avviare una carriera da tecnico altrettanto, se non più ricca, di successi.

 

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