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Il presidente del Borgorosso FC

 

Correva l’anno 1970 quando nei cinema italiani usciva l'indimenticabile film interpretato da Alberto Sordi

 

Un film che testimonia uno spaccato di un calcio che non c’è più, quello delle bandiere con l’asta di legno e delle trombette, quello dei pantaloncini da gioco corti e la tuta attillata, della passione popolare e di presidenti padroni: Sordi disse che trasse ispirazione per il film proprio da un Presidente romano, quello della Lazio, Ernesto Brivio. Nel film Benito Fornaciari, impiegato del Vaticano eredita dal padre il Borgorosso Football Club, squadra di calcio dell’immaginario paese romagnolo di Borgorosso (in realtà il film è girato a Bagnacavallo e allo stadio di Lugo, entrambi paesi della provincia di Ravenna). Il calcio non è esattamente la sua passione, tuttavia, dopo un primo momento di disinteresse per la squadra, inizia a dedicarvisi completamente con risultati disastrosi (ingaggia un curioso e improbabile allenatore sudamericano soprannominato stregone, ad imitazione di Herrera, mago del calcio vero dell’epoca) che gli inimicano l’intero paese di Borgorosso. Ma ad un certo punto, dopo aver esonerato l’allenatore e imponendo alla squadra ritiri draconiani basati sul lavoro nei campi, Benito assume direttamente le redini del club facendo da presidente-allenatore e le sorti della squadra sembrano cambiare.

Il Borgorosso risale in classifica fino a sfiorare la vetta. Senonché, in una drammatica partita interna con gli eterni rivali del Sangiovese, mentre la squadra sta perdendo su rigore provocato dal giocatore brocco Celestino, da lui comprato a caro prezzo, Benito entra in campo litigando con l’arbitro e innescando un’invasione di campo da parte dei tifosi con conseguente interruzione della partita e successiva penalizzazione della squadra con squalifica del campo di gioco. A causa della crisi che investe la squadra, un gruppo di imprenditori locali avversi riesce a costringerlo a dimettersi, ma Fornaciari, nella conferenza di addio al paese, con un astuto coup de théàtre presenta il suo ultimo ingaggio: nientemeno che Omar Sivori. Questo, se da un lato gli assicura il sostegno “per acclamazione” della tifoseria, per contrasto provoca il ritiro della cordata degli imprenditori, il fallimento e pignoramento di tutte le proprietà di Benito, perfino del pullman della squadra. Di ciò non si cura Benito che, ritornato presidente, parte con i tifosi in festa assieme alla squadra su un autocarro per raggiungere lo stadio.

Risulta non chiaro quale sia il campionato a cui partecipa il Borgorosso, probabile che nelle intenzioni fosse la Serie D, e infatti il Baracca Lugo (che giocava nello stadio delle riprese del film) nel 1968-69 era in serie D. Le avversarie però tradiscono una categoria inferiore, ovvero la Promozione. Come è probabile che sia. L’acquisto a sorpresa di Omar Sivori (interpretato da sé stesso) è clamoroso ma verosimile, avendo il fuoriclasse argentino disputato la sua ultima stagione in Serie A nel campionato 1968-69. Un altro evidente riferimento alla realtà è nel primo allenatore ingaggiato da Fornaciari, che ricorda, nella parlata, nell’aspetto fisico e nelle convinzioni tattiche, il “mago ” Helenio Herrera.

L’ultima intervista al regista Luigi Filippo D’Amico, scomparso nel 2007:
Com’è nata l’idea di fare un film con Sordi sul calcio?
«Alberto un grande appassionato di calcio e aveva sempre pensato di fare un film dedicato al gioco del pallone».
Perchè il film è stato girato in Romagna?
«Perché serviva una popolazione di tifosi molto calda, piena di sangue e di impegno. Mentre si stava facendo la sceneggiatura feci un lungo viaggio in tutti i paesi della Romagna e alla fine scegliemmo come nucleo centrale della storia del film Bagnacavallo, perché era il più adatto secondo noi. Mi trovai benissimo sia con le comparse che con i proprietari delle case, perché oltre a girare nella piazza del paese. che era molto suggestiva, abbiamo girato in molte case e in molti luoghi perché il film, tranne l’inizio che è girato a Roma, è stato tutto girato in Romagna: negli stadi di Lugo, Faenza, Cesena, insomma in vari posti, perché c’erano varie partite di football, e gli stadi dovevano essere diversi. A Bagnacavallo mi sono trovato bene anche umanamente: gente cordiale, vivace, di buona forchetta e di buon bicchiere. Fu giusto ambientarlo là, per una piccola squadra di provincia che casualmente questo romano si trova a ereditare dal padre. Una cosa a cui io tenni subito, fu che Sordi facesse anche la parte del padre, imparò la pronuncia romagnola e fece alla perfezione questo breve ruolo del padre».
Come fu scelto il nome Borgorosso?
«Serviva un nome che avesse un senso di veracità, ripeto la rappresentazione di una località molto facinorosa nel proteggere i luoghi natii, allora pensammo al Borgo di colore rosso perché’ abitato da gente focosa. Quindi ecco il motivo del nome Borgorosso Football Club».
Com’è stata la preparazione di un film dedicato al calcio?
«Diversa dai soliti film perché nel caso specifico avevo la necessità di reperire non solo un numero molto vasto di comparse, che sono state basilari per il film, perché avevo bisogno degli stadi pieni di gente, ma anche per il numero di personaggi di secondo piano, ma non per questo meno importanti. Ho preso Todeschini nei panni del farmacista, Pattuelli, quello che si brucia in piazza, che ha il soprannome di Salsiccia. Vargas nel ruolo del prete del paese, oltre ai più noti come Tina Lattanzi e il fratello di Nino Taranto, Carlo, truccato da Herrera. Molti personaggi del film sono soltanto dei simpatici tipi romagnoli scelti a caso proprio da Sordi».
Come ha trovato il Sordi presidente di una squadra di calcio?
«Molto bravo come sempre, e in quel caso sentiva molto il ruolo del Presidente tifoso. Anche se i problemi legati alle regole degli Anni 70 relativi alla censura non sono mancati. Mi ricordo che a un certo punto Sordi nel ruolo del padre – questo per dirvi quanto è cambiata la società da allora – diceva: “Casso!”. Col film pronto e la copia già mixata Alberto mi telefona e mi dice: “Guarda che dobbiamo rifare una battuta del film, ci tocca rifare tutto il rullo e rimixarlo”. lo domando:”perché ?” e lui mi risponde “Siccome dico Casso’ la censura vuole vietare il film ai minori di 18 anni”. La cosa aveva una certa importanza perché la pellicola non avrebbe avuto la programmazione televisiva e sarebbe rimasta fuori dalla programmazione delle sale parrocchiali, e allora ce n’erano tante e portavano molti soldi. Allora in fretta e furia cambiammo la battuta, ma ci costo lavoro e soldi. Il film fu pronto in tempo per rispettare le date di uscita, infatti doveva essere ultimato per settembre perché si pensava quello fosse il momento migliore per far uscire in programmazione quel tipo di film. Fu comunque un grande successo e soprattutto mi rimase impressa nella mente alla fine delle riprese del film la voglia di Alberto di portare a Roma una vera squadra e sono felice che questo sogno si sia realizzato».

 

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