terza pagina

 

Storia di un rossonero qualunque

 

Il Milan è sempre lì, in quell'angolino irrazionale della mente ed in quella parte inconsapevole dell'anima

 

Mi è capitato oggi di rivedere per sbaglio il video di quel Milan-Juventus 1-6, partita giocata a San Siro ben 19 anni fa.
Per molti sarà solo un ricordo sbiadito, ma per me quella partita è stata un vero e proprio dramma sportivo da cui ho ricevuto un grande insegnamento che ha influito tantissimo nella mia dimensione di tifoso.

Non è facile avere 15 anni e trovarsi in una classe monogobba.
Più di metà classe, nella mia sezione al Liceo Classico, tifava Juventus.
E non un tifo acqua e sapone, bensì da sciarpa bianconera attorno al collo.
Del Milan eravamo solo in 2. Qualcun altro, con istinti masochisti già dall'adolescenza, iniziava a simpatizzare Inter, mentre le ragazze, come al solito, erano divise fra Baggio, Maldini e Del Piero.

Essere milanisti nell'annata 1996-97 non era semplice, anche perchè avevi la sensazione spiacevole che il decennio berlusconiano avesse emesso il suo canto del cigno con l'ultimo scudetto di Capello.
Fra il 1996 ed il 2002 non furono anni facili.
Ci furono 7 giornate di follia, a cavallo fra l'aprile ed il maggio del 1999, che regalarono al Milan uno degli scudetti più pazzi della storia del club.
Ma ci furono anche tante delusioni, tanti onesti mestieranti trovatisi quasi per caso ad indossare la nostra maglia.
Ricordo che, nel 1997, a Piacenza, Maldini si ruppe il naso. Venne sostituito da Tassotti che, insieme a Costacurta, Baresi e Vierchowood andò a formare la difesa più vecchia del mondo.
Non era uno scherzo. Era un dato reale.

Il giorno dopo, a scuola, io e un mio amico (gli unici rossoneri della classe), ci ritrovammo un pannolone sul banco. "Per i vostri vecchietti della difesa".
Non mi arrabbiai. Sorrisi. Lo sfottò va accettato, fa parte del gioco e di quell'ottovolante magnifico che è il calcio.
Ti dà e ti toglie.

E così, quella domenica sera del mese di aprile, feci fatica a prendere sonno.
Sei pere dalla Juve erano troppe.
Umiliante.
Mi piangeva il cuore ad aver visto Vieri sovrastare fisicamente Baresi in quel modo.
Sofferenza enorme. Credo che proprio quel giorno, il nostro Franco prese l'amara decisione del ritiro.
Io non volevo andare a scuola quella mattina. Mi dava noia, ma decisi comunque di non giocarmela.

Avevo il compito d'italiano e, per me, scrivere un tema, era sempre un ottimo modo per rilassarmi.
Avrei passato la vita a scrivere, forse per questo ho poi deciso di fare l'avvocato.

Prima della scuola però, decisi di passare da Vanni, un vecchio ciabattino che aveva una bottega artigiana.
Aveva il negozio proprio davanti al Liceo ed era talmente milanista che, nel 1989, fece spostare di un mese il matrimonio del figlio perchè lui a Barcellona, contro lo Steaua, ci doveva essere.
Mi guardò e mi disse: "cos'è quella faccia da funerale?". Risposi che c'era ben poco da stare allegri ed aggiunsi che, la sera prima, dopo il gol del 5-0 di Amoruso, ero stato tentato dal chiudere la televisione e non guardare più nulla.
Mi guardò allargando le braccia e rispose: "Avresti fatto un grosso errore. Vedi, le delusioni, nel calcio, vanno vissute fino in fondo. Quando il nostro Milan tornerà a vincere, ti ripasseranno nelle mente tutte le più grandi delusioni e penserai a quanto è stato bello viverle. Non esiste successo senza sofferenza. O meglio, esiste, ma riguarda solo i tifosi della Juve. Loro non tifano una maglia. Tifano le vittorie. Non essere mai come loro. Vai sempre fiero di ciò che tifi, soprattutto quando tutto va male".

Non ho mai dimenticato quelle parole. Sono state la prima cosa che mi è tornata in mente mezz'ora dopo il rigore di Sheva, a Manchester.
Non subito, mezz'ora dopo.
Prima era impossibile essere connessi con la realtà.

Vanni se n'è andato a dicembre del 2002. In silenzio, quasi improvvisamente, come nel suo stile.
L'ultima volta che lo vidi, per dargli gli auguri di un Natale che non avrebbe festeggiato, sapeva già che stava per morire. Glielo leggevi negli occhi e in quella tosse sempre più secca che gli consumava le corde vocali.
"Mi dà fastidio il buonismo di quelli che mi ricorderanno. Io non voglio essere nè una stella, nè un angelo nel cielo. Io sono stato un diavolo e voglio essere per sempre un diavolo". Lui era così. Era un uomo semplice, bonario, a volte irascibile.
Ma era un grande cuore rossonero.

Quell'insegnamento, il giorno dopo Milan Juve 1-6, m'è rimasto dentro.
Credo che abbia permeato il mio modo di tifare e di essere rossonero.
E così, quella sconfitta, quelle "sei pere", io continuo a tenermele strette.
Perchè fanno parte della storia del Milan, della mia storia di bambino che si apprestava a diventare uomo.

In 19 anni ne sono accadute di cose.
Ho cambiato amicizie, fidanzate, macchine, gusti.
Ma il Milan è sempre rimasto lì. In quell'angolino irrazionale della mente ed in quella parte inconsapevole dell'anima.

 

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