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Mister Miliardo

 

Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del “goal”

 

Giuseppe Savoldi nasce a Gorlago, un paese in provincia di Bergamo, il 21 gennaio 1947. La sua è una una famiglia modesta, tipica del dopoguerrae che tira la carretta. Suo pare fa il ferroviere, sua madre lavora per un periodo nel bottonificio del paese. Da ragazzino il pallone con cui Beppe si innamora non è quello da calcio ma quello da basket (e questo spiega anche perché sia stato in carriera sia stato un eccezionale colpitore di testa).

Inizia con la pallacanestro fin da 8 anni per smettere solo a 18 quando sceglie definitivamente il football. Gioca in un campo dell’oratorio di Santa Maria delle Grazie nel centro di Bergamo. Ma non solo: fa anche atletica e a 14 anni è campione bergamasco di salto in alto con 1,69 (allora con lo scavalcamento ventrale). E siccome se la cava anche in altre discipline, si distingue pure nel pentathlon.

Il momento delle scelte è il 1965. Savoldi continua ancora a giocare a basket di nascosto, ma a un certo momento deve smettere perchè l’Atalanta ha la fortuna di incontrare Kincses, un allenatore ungherese, che si occupa delle giovanili e gli insegna le basi del football riconoscendo in Beppe un potenziale campione. “Non ero uno di quelli che pensa: diventerò un grande calciatore. Io volevo giocare, mi piaceva e basta“.

Per potersi allenare smette anche di andare a scuola regolarmente e si iscrive ad una scuola serale perché, durante il giorno, lavora per dare una mano in casa. Dopo un paio di campionati nelle giovanili, Puricelli lo fa esordire in serie A il 5 settembre 1965 in Atalanta-Fiorentina 1-1. Nella sua prima stagione collezionerà solo altre tre presenze. Nelle due stagioni successive si guadagna i galloni di titolare e le reti iniziano a fioccare: sono 17 i gol che fanno scoprire questo attaccante bravo soprattutto a segnare di testa. E così Savoldi finisce nel mirino del Bologna.

“Quando il Bologna mi ha acquistato soffrivo di un terribile mal di schiena. Colpa di unernia che ami dà ancora qualche fastidio. All’Atalanta il mio mal di schiena costò caro: 20-30 milioni“. Il Bologna infatti pretende uno sconto sulla valutazione di Savoldi e riesce a rimettere a posto l’attaccante. “A Bologna ho avuto la fortuna di incontrare Edmondo Fabbri. Per me è stato un padre. Mi sono trovato in una città stupenda, dove si vive bene”.

Da grande appassionato di basket Savoldi a Bologna vive stagioni intense. “Da ragazzino il mio idolo era Masini, pivot del Simmenthal Milano. A Bologna ho cominciato a tifare Virtus, perché mi piaceva tanto Caglieris. Forse anche perché era alto come me. Ma poi sono diventato tifoso della Fortitudo: nell’altra squadra di Bologna era arrivato il mio amico Arrigoni. Avevamo giocato insieme a Bergamo, gli avevo insegnato i fondamentali. Allora era pivot, nella Fortitudo giocava da ala. E dopo la partita del Bologna al Dall’Ara, scappavo al palazzetto per godermi lo spettacolo di Virtus e Fortitudo“.

Sette stagioni a Bologna e la sensazione di aver sprecato i propri migliori anni della carriera in una squadra mediocre, tenuta in serie A grazie ai suoi gol (85 in totale), soprattutto quelli di testa. Salta sempre un po’ più del difensore che lo marca, resta sospeso un secondo, torce il collo e segna. E nel 1972/73 vince la classifica dei cannonieri con 17 reti in coabitazione con Pulici e Rivera.

Savoldi colleziona anche un singolare record: un suo gol regolare venne annullato perché un raccattapalle dell’Ascoli, Domenico Citeroni, allontana il pallone che era entrato in rete senza che l’arbitro Barbaresco se ne accorga. “Non me la presi nemmeno tanto – ricorda Savoldi – il raccattapalle era un ragazzino e in quella partita avevo già segnato due gol. Con Citeroni, diventato adulto, ci siamo rivisti alla Domenica Sportiva e ci siamo stretti la mano“. Quel gol non gli costa nemmeno il primo posto nella classifica dei cannonieri: in quella stagione, 74-75, vince Pulici con tre gol di vantaggio su Savoldi.

Finita la stagione 1974/75, come ogni estate, Savoldi è sul mercato. Nelle stagioni precedenti era stato vicinissimo alla Roma di Helenio Herrera e poi alla Juve. Così vicino che prima di un Juve – Bologna il presidente Conti gli disse: “Oggi giochi contro la tua prossima squadra“. Il giorno prima delle visite mediche, il dottor La Neve invece telefona al bomber: “Rimandiamo“. I tifosi bianconeri non volevano lasciar partire Anastasi per Bologna e salta tutto.

Ma in quell’estate del 1975 a 28 anni Savoldi è deciso a tutto pur di partire, per provare a vincere qualcosa di importante. Roma, Milano, Torino: va bene tutto. Poi arriva una telefonata Janich, d.s. del Napoli, suo ex compagno nel Bologna, che gli chiede se vuole venire in riva al Golfo. Beppe non ha bisogno di mezzo minuto per dire si.

I presidenti Conti e Ferlaino si accordano e il centravanti viene ceduto dal Bologna al Napoli in cambio di 1440 milioni, Clerici e la comproprietà di Rampanti. Valutazione totale: due miliardi. Un record, ma di quelli che fanno impazzire i tifosi e scandalizzare i moralisti dell’economia. Forse non a torto, in una Napoli in piena disdetta. Addirittura l’onorevole Sanza, sottopone al Presidente del Consiglio un’interrogazione parlamentare per indagare su come sia possibile per alcune società di calcio sborsare cifre che sembrano operazioni finanziarie di livello industriale.

La voce fuori dal coro è quella di Enzo Biagi, che sul Corriere della Sera, approva l’affare Savoldi: “L’ingegnere Ferlaino non è né un dissipatore né un Pulcinella: è un freddo manager che si adegua alla realtà. Fa il suo mestiere molto bene. Non tocca a lui risolvere le secolari questioni sociali, realizzare le riforme e la giustizia: spaghetti, casa, un moderato lavoro, ma il suo compito è organizzare la migliore formazione degli azzurri. Non ha offeso la miseria, caso mai l’ha consolata. E poi, siamo onesti: Napoli non va male perché hanno comperato Savoldi, ma perché non possono vendere i Gava“.

Ma Ferlaino è disposto a qualsiasi cosa pur di portare uno dei migliori attaccanti in circolazione a disposizione dell’allenatore Vinicio. L’anno prima il Napoli è finito secondo dietro alle spalle della Juventus. Un grande centravanti per una squadra che già da tempo incanta tutta la serie A, grazie a un gioco efficace e innovativo, sarebbe stato il punto di forza per aspirare seriamente allo scudetto.

«Ero contento di andare a Napoli. La squadra veniva da un secondo posto, la società era solida. Certo il mio trasferimento fece scalpore: c’era già il problema dei rifiuti, ma l’indignazione generale non mi condizionò. La società e i compagni sono stati eccezionali, mi hanno aiutato ad affrontare il problema. Certo la pressione c’era, ma mi ha ulteriormente caricato, mi ha dato stimoli far bene. Quando scendevamo in campo al San Paolo, la gente non gridava “Napoli”, ma “Beppe, Beppe”. Napoli è una città particolare, che ha un suo modo di vivere, che sdrammatizza. Ci sono stato benissimo».

L’acquisto di Savoldi si rivela un affare per il Napoli: gli abbonati saranno 70.405, record nella storia della società. Nemmeno Maradona riuscirà a superarlo. E il miracolo chiamato scudetto sembra a portata di sogno dopo i 7 gol di Savoldi nelle prime 7 partite. «La prima di campionato segno subito al Como, su rigore, dopo averne sbagliato uno. Fecero anche una canzoncina: “San Gennaro dacci tre rigori, che il primo Savoldi lo tira fuori, il secondo se lo fa parare e il terzo lo segna”. All’ottava giornata vinciamo a Roma, la Juve perde il derby: Napoli primo in classifica. Lì ci ho creduto davvero allo scudetto. Ma proprio all’Olimpico mi infortunai e restai fuori 3 settimane. Dopo un pareggio in casa con l’Ascoli, il calo. E il sognò svani».

Conclude la prima stagione con 14 reti all’attivo. Le più importanti, due, le riserva al Verona, nella finale di coppa Italia all’Olimpico: il Napoli vince il trofeo.Ma nonostante l’arrivo di Savoldi, il Napoli non riesce a fare lo sperato salto di qualità: 5° nel 1975/76, 7° nel 1976/77, 6° nel 1977/78 e nel 1978/79 (all’epoca il campionato era a sedici squadre). E se nel 1975 aveva fatto scalpore per esser stato derubato di un gol, il 30 gennaio 1977 il bomber rimette a posto le sue statistiche segnando di pugno all’81’ il gol del definitivo 1 a 1 col Perugia (sul neutro di Bologna): «Bisognava cercare di fare gol in tutte le maniere. Non mi vergognavo, ero contento. Avevo fatto una cosa che era sfuggita a tutti, soprattutto all’arbitro. Un colpo di scaltrezza. Così come i difensori cercavano sempre di menarci senza farsi vedere dall’arbitro. Poi mi sono pentito, ma solo con me stesso. Dopo la partita anche ai giornalisti dissi che avevo segnato di testa»

«Sono arrivato a Napoli troppo tardi. Me lo confermò Vinicio qualche anno dopo: quel Napoli aveva già dato il meglio, era a fine ciclo. Vincemmo una coppa Italia, ma ero venuto a Napoli per altro. Io avevo in testa tutto ciò che poi ha realizzato Maradona, ma quel Napoli aveva anche Giordano, Careca, Bagni…».

Savoldi sembra in declino, le delusioni napoletane si accavallano a quelle di un altro azzurro, quello della Nazionale, un capitolo insipegabilmente breve per uno dei bomber più prolifici del nostro campionato. «In Nazionale ho giocato soltanto quattro partite e mi resta il rimpianto. Ho capito che per me non c’era spazio quando non venni convocato per un’amichevole al San Paolo in vista dei Mondiali del 1978. Venivano preferiti i blocchi, c’era quello della Juve e quello del Torino con Pulici e Graziani. Peccato»

Nel 1979/80 Savoldi chiude il ciclo napoletano rientrando a Bologna in cambio di Bellugi e 800 milioni. Undici reti in ventinove partite prima di essere stoppato dallo scandalo del calcioscommesse. Squalificato per tre anni e sei mesi, poi ridotti a due e quindi amnistiati per la vittoria dell’Italia ai mondiali dell’82. La partita incriminata è Bologna-Avellino. Doveva finire in pareggio, stando all’accusa. Invece vince il Bologna con gol di Savoldi. «L’ho detto allora, lo ripeto adesso: non c’entravo nulla. Solo che non potevo farci niente: era già tutto scritto, Una regia occulta? Credo proprio di sì». Riemerge in serie B con i colori dell’Atalanta per una comparsata (16 partite ed una rete) prima di chiudere definitivamente.

 

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