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Berlusconeide capitolo VIII (I)

 

L'arrivo di Ancelotti (prima parte)

 

Il Carlo Ancelotti che arriva al Milan è un tecnico abbastanza maturo che ha fatto già esperienze importanti a Reggio Emilia (centrata una storica promozione in serie A), a Parma (miglior piazzamento in campionato nella storia della società ducale) e a Torino sponda bianconera, dove i due secondi posti ottenuti gli sono valsi un licenziamento sgradevole.
Su di lui pesa così l’etichetta di perdente di successo, frutto di tre secondi posti su quattro stagioni da allenatore, etichetta già in passato appioppata con troppa faciloneria anche ad un galantuomo come Sven Goran Eriksoon.

Il Milan che Carlo trova a sua disposizione è una squadra con una buona dose di talento, individualità importanti, elementi di spessore in tutti i reparti ma molto fragile psicologicamente, ancora non pienamente consapevole dei propri mezzi, bisognosa di un lavoro certosino sia sul piano tecnico-tattico che su quello prettamente psicologico.
Carlo si mette al lavoro con grande professionalità e saggezza.

La sua prima partita vera (dopo un 3-0 in Coppa Italia) è un Milan Piacenza di campionato.
Finisce 0-0, con una dannata sensazione di vorrei ma non posso da parte dell’attacco rossonero, che solo nel secondo tempo, con l’innesto di Serginho, riesce a procurare dei pericoli alla retroguardia emiliana.
C’è da lavorare, c’è da soffrire, c’è da costruire qualcosa e Carlo lo sa bene.

La partita successiva il Milan va a Parma, dove in panchina siede Passarella (scelto dal Cavalier Tanzi proprio al posto di Ancelotti che qualche settimana prima stracciò un accordo già siglato col Parma per scegliere il Milan) e dove la partita si presenta tutt’altro che facile.
I crociati gialloblu infatti hanno un organico importante e di prim’ordine ma navigano in brutte acque di classifica e hanno bisogno disperato di punti per risalire.
La partita è dura e accesa ma un lampo di Inzaghi nel primo tempo, su traversone perfetto di Serginho, dà al Milan tre punti fondamentali che gli consentono di innestare una marcia importante e di prendere fiducia nelle proprie possibilità.
Negli ultimi minuti il Milan soffrì moltissimo causa l’espulsione del turco Umit per un fallo da killer e il pallone lanciato in curva da Massimo Donati in segno di gioia e di giubilo al fischio finale, rappresenta bene la portata effettiva di quel successo.
Cronisticamente parlando è il primo vero successo del Milan di Ancelotti, un successo ottenuto più con la spada che col fioretto, ma di grandissimo impatto sul campionato.
Il nuovo Milan però abbandona subito la lotta scudetto nelle partite successive.

Una settimana dopo Parma, il Milan gioca in casa contro il Chievo una partita bella e godibile che può proiettare i rossoneri nelle primissime posizioni di classifica.
Il successo arriva, sudatissimo, per 3-2 con un gol di Inzaghi e due gol di Sheva, l’ultimo su assist pennellato di Rui Costa, ma quel successo paradossalmente fu il canto del cigno della ambizioni di scudetto del Milan.
Inzaghi nel secondo tempo si rompe il collaterale del ginocchio in uno scontro durissimo col portiere clivense Lupatelli e la sua uscita dall’undici titolare nei tre mesi successivi peserà molto in ottica scudetto, visto che il Milan contava moltissimo sui gol del ventottenne attaccante piacentino per vincere uno scudetto che mancava nel palmares rossonero da ben tre stagioni.
Nelle partite successive il Milan uscì definitivamente dalla lotta al titolo.

Il pari con la Juve e la sconfitta di Roma ne preclusero le possibilità, ma su queste due partite pesano come macigni due discussi episodi arbitrali avversi: il rigore che Paparesta concesse alla Juve per un tuffo fuori stagione di Zalayeta a Milano, col Milan avanti per 1 -0, e il gol inspiegabilmente annullato a Josè Mari contro la Roma dal signor Collina.
Episodi spiacevoli e condizionanti, quasi un preludio di ciò che poi sarebbe avvenuto negli anni successivi.

Il prosieguo di quel campionato fu poi segnato pesantemente da troppi infortuni agli uomini di chiave di quel Milan. Maldini, Rui Costa, Inzaghi, Shevchenko, una serie infinita di contrattempi fisici che portarono i rossoneri a barcollare mestamente tra il sesto e il settimo posto, preceduti addirittura dal sorprendente Chievo di Gigi Del Neri e dal Bologna di Guidolin.
Il filo del gioco si stentava a trovare.

Ancelotti non vedeva Pirlo e Rui Costa assieme nemmeno a tavola e i tentativi di vedere giocare vicini i due giocatori con maggior talento di tutta la rosa sono estemporanei e improvvisati (Milan-Verona di fine dicembre 2001 con Pirlo all’ala sinistra ne è un esempio).
Il cunicolo in cui si va ad infilare il Milan nelle partite dei primi due mesi del 2002 è preoccupante.
Sconfitte incredibili subite in rimonta (con l’Udinese in casa), o risultati compromessi negli ultimi minuti (a Firenze con il gol di Adriano addirittura all’ultimo secondo).
Il Milan gioca male e non convince e a Bologna (marzo 2002) tocca un punto bassissimo.
Sconfitto 2-0 dai felsinei viene addirittura abbandonato dai propri tifosi durante la partita. La coppia d’attacco del momento Javi Moreno Josè Mari è impalpabile come un granello di sabbia in un deserto.

La partita successiva, in casa col Torino, suona quasi come ultimissimo appello.
Il clima è teso e la tensione si taglia a fette. Il pubblico protesta civilmente e gli striscioni invitano la proprietà a investire nel Milan.
Si vince, 2-1 , con gol di Kaladze e Ambrosini, ma quanta sofferenza! Lucarelli nel finale fa partire un destro perfetto che lambisce il palo e grazia Abbiati.
Ancelotti a bordo campo tira un sospiro di sollievo e può guardare avanti: il momento peggiore è superato, adesso bisogna compattarsi per agganciare un quarto posto, vitale per la partecipazione alla Champions.

Il Milan migliora di condizione e inanella una serie di risultati positivi, anche aiutati dal rientro di Inzaghi (doppietta al Parma il giorno prima di Pasqua) e dalla vena notevole di Pirlo, ormai impostosi titolare nel centrocampo rossonero.
Nel periodo positivo rossonero appare tuttavia una macchia tedesca inaspettata.

Nella semifinale di andata di Coppa Uefa il Milan viene praticamente umiliato dal Borussia Dortmund che infligge alla squadra rossonera un perentorio 4-0, con una tripletta di Amoroso e un gol di Heinrich.
Risulta poi vano il grande sforzo del Milan che al ritorno riesce a rimontare il risultato andando sul 3-0 (Inzaghi, Contra, Serginho), venendo beffato nel finale dal gol taglia gambe di Ricken.
Questa sconfitta di Dortumund è, senza dubbio, una delle macchie della gestione Ancelotti, che nel corso degli anni ha sempre denunciato un cedimento psicologico della squadra nei momenti più inaspettati. Sconfitte come questa o come quella ancor più clamorosa di La Coruna tre anni dopo, hanno spiegazioni maggiormente riconducibili ad un fattore mentale piuttosto che a motivazioni strettamente tecniche.
Una tendenza che si segnalerà costantemente nel corso degli anni (con alcuni pareggi inaspettati in casa contro piccole squadre), uno dei limiti probabilmente dell’era di Carlo, l’antitesi di Capello nella gestione dei rapporti umani e nella capacità di dare serenità al gruppo in occasione delle sfide decisive, molto più accomunabile a Liedholm piuttosto che a Sacchi nel suo modo di vivere il calcio.
Ogni grande allenatore però ha il suo tallone d’Achille, e per Carlo la regola non faceva eccezione, tanto che il tifoso rossonero si sentiva molto più tranquillo prima di una partita con la Juventus che prima di una partita con l’Empoli.
Nel frattempo in campionato, il pari in casa con la Roma alla terz’ultima giornata, impone al Milan di dover andare a vincere a Verona per ottenere la qualificazione alla Champions League.
E’ una partita che vale una stagione. I milanisti lo sanno e la tensione nei giorni cresce.
Sarà la prima gara decisiva del grande ciclo ancelottiano.
Se il Milan vince è praticamente fatta per la qualificazione in Champions, considerando che il Chievo di Del Neri è impegnato a Roma, contro i giallorossi di Fabio Capello, ancora aritmeticamente in corsa per il titolo e non disposti a regalare nulla.
Il Chievo è la squadra rivelazione della stagione, un collettivo di prim’ordine, nato da un’idea sacchiana del calcio, applicata su una base zemaniana con in mezzo la fantasia mai scontata del suo condottiero: Gigi Del Neri.
Gigi Del Neri è anche il nome più in voga nella primavera del 2002 come possibile allenatore del Milan nella stagione successiva. La panchina di Carletto non è così salda, qualche scroscio di vento soffia forte su di essa, ma lui è sereno, tranquillo, sa che il lavoro paga ed è conscio dell’importanza di questa gara per poter aprire un ciclo di grandi vittorie.
Tornare in Champions è un obiettivo imprescindibile.
Lo sanno tutti, soprattutto i giocatori che stanno varcando il tunnel del Bentegodi, che dagli spogliatoi conduce al campo.
Abbiati, Chamot, Laursen, Maldini, Kaladze, Gattuso, Pirlo, Ambrosini, Serginho, Inzaghi, Shevchenko. Questa la formazione titolare, schierata con un 4-4-2 pronto all’occorrenza a diventare 4-3-1 -2.

La partita è delicata, il Verona di Malesani è stata la squadra rivelazione del girone d’andata ma adesso si trova inspiegabilmente risucchiato nella lotta per non retrocedere. Tra le sue fila però annovera gente di prim’ordine, come il portiere Ferron, i difensori Paolo Cannavaro e Dainelli, Massimo Oddo, Cassetti, Italiano e Frick, per finire con Mutu e Camoranesi.
Insomma tutt’altro che una squadretta.
La partita assume subito toni aspri e sfumature intense. E’ Mutu dopo quasi mezz’ora di gioco a rompere l’equilibrio con un gol bellissimo da circa trenta metri.
Il primo tempo finisce con un Milan impantanato nelle sabbie mobili del suo attacco che non riesce a prevalere sulla difesa veronese.
Inizia la ripresa e l’arbitro concede subito un rigore al Milan. Tira Serginho e sbaglia. Sembra una partita stregata, segnata.
Ma è un gol di Inzaghi,a metà del secondo tempo, a riportare la situazione in parità.
Al Milan adesso serve un gol per trovare la Champions. Le ammonizione fioccano, la partita si incattivisce un po’ ma è Andrea Pirlo nei minuti finali con uno splendido guizzo in area di rigore a sfruttare un assist di Kaladze, a dribblare Ferron e a depositare in rete un pallone che vale oro.
I minuti finali di sofferenza sono il giusto pegno da pagare per tre punti che valgono più del loro valore strettamente numerico.
Il Chievo infatti ha perso a Roma e il Milan adesso è arbitro del proprio destino.

La giornata successiva con un netto 3-0 i rossoneri liquidano un Lecce già retrocesso e festeggiano il ritorno sul palcoscenico europeo più importante dopo un’annata tutt’altro che facile. Ancelotti ha così portato a casa il suo primo, piccolo, grande obiettivo.

...alla prossima con "L'arrivo di Ancelotti" (seconda parte)

 

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