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"Ho amato Stefano alla follia ma..."

 

Intervista a Chantal Borgonovo

 

In molti si ricorderanno di Stefano Borgonovo, il potente centravanti della Fiorentina di Baggio e del Milan di Van Basten, balzato poi agli onori della cronaca per la triste vicenda della sua lotta contro la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica).
A distanza di quattro anni dalla sua morte, esce in libreria Una vita in gioco. L’amore, il calcio, la SLA , libro che mette in secondo piano la cronistoria della malattia per dare voce al diario di vita di una coppia, quella di Stefano e Chantal, raccontato attraverso la delicata sensibilità della penna di Mapi Danna. Tra calcio, sofferenza, amore e ironia, si scopre, anche nella dolorosa tragedia della malattia, l’incantevole bellezza della vita.
Chantal Borgonovo ha voluto rilasciare questa piacevole intervista nella quale si parla non solo del libro ma anche di amore, fortuna, e di cosa ancora si può fare per aiutare i malati e loro famiglie.

Come è nata l’idea per questo libro?
Dopo la morte di Stefano (a parte i primi due anni dove ho dovuto riprendermi) ho iniziato a pensare di raccontare quello che mie era successo. Però non volevo parlare della malattia e del calcio, volevo raccontare la storia di una donna. La mia storia. Ci ho pensato e ripensato. Sono stata molto incerta sul farlo. Poi dentro di me c’era una voce che mi diceva “fallo, altrimenti un domani te ne pentirai”. E, visto che sono una donna molto pratica che guarda sempre avanti e mai indietro, ho deciso di addentrarmi in questa avventura e mettermi a nudo. Anche perché, in questo caso, o sei sincera o è meglio non fare nulla. Così mi sono decisa e ho incontrato Mapi [Danna, n.d.r.], e alla fine questo libro ha visto la luce.

Lei nel libro dice: “ti ho trattato come si tratta un uomo, mai come si tratta un malato”. Quanto è importante questo atteggiamento nei confronti di chi si trova nella situazione in cui era Stefano?
Per lui è stato importantissimo perché a un certo punto da uomo bellissimo, di successo, fisicamente perfetto -essendo stato uno sportivo- sì è visto completamente smontato dalla malattia. E questo lo ha portato a un certo punto a vergognarsi di me, me ne sono accorta: quando lo guardavo, lui abbassava gli occhi perché si vergognava di come la malattia lo stava fisicamente facendo diventare. Per me però non è cambiato nulla, lui era lui. Stefano era Stefano. È cambiato il suo corpo, non si muoveva più, ma il mio amore verso lui, verso quello che era lui (e non verso il suo corpo) è rimasto intatto. E nel momento in cui Stefano ha capito che per me non era cambiato nulla, allora si è sentito più sicuro e ha deciso in seguito anche di mostrarsi alle altre persone: l’occasione più eclatante è stata senza dubbio la partita allo stadio Franchi di Firenze l’8 ottobre 2008 davanti a 27000 spettatori. Mostrarsi è stata anche una conseguenza dell’accettazione totale e completa che io ho avuto nei suoi confronti. Credo che questo gli abbia dato la forza di mostrarsi a tutti.

E lei, come è riuscita a rimanere sempre la stessa?
Con il carattere ci si nasce. Io sono stata aiutata probabilmente dal mio temperamento. Poi, ho lavorato tanto con me stessa. Sono stati anni veramente duri. Io dovevo reggere tutta la mia famiglia e ho fatto un grande lavoro su me stessa. Tutti i giorni quando ti svegli sai che ogni giorno non può essere uguale all’altro perché questa malattia è imprevedibile. Quindi sei tu che corri dietro lei, e tutti i giorni c’è qualcosa di nuovo, c’è qualcosa di diverso. E tutte le mattine ti devi alzare dal letto (dormivo 3 ore per notte), farti forza e cercare di affrontare la giornata. Meno pensi e meglio è. Perché se una si mette anche a pensare, impazzisce.

Cosa è stato più difficile in quei sette anni?
La cosa forse più difficile (e anche per questo ho voluto raccontare questa storia) è stata l’impotenza di vedere soffrire, vedere spegnersi per una malattia la persona che ami. Assistere a tutto quello cui ho assistito io (potendo curare, agevolare, lenire, consolare, ma non risolvere) accettando la totale impotenza di fronte a questa malattia è stato difficilissimo.

Cosa le ha dato più forza per affrontare quel difficile periodo?
Sicuramente il fatto che Stefano fosse con me. Abbiamo camminato insieme. La SLA uccide il corpo, toglie qualsiasi cosa ma non il pensiero. Stefano era una persona assolutamente normale, presente a se stessa. Lui mi ha aiutato tantissimo, perché nella malattia è stato fortissimo. Poi c’era il pensiero dei figli che ci ha chiaramente spronato. Noi abbiamo quattro figli e quindi avevamo il dovere di riuscire a rendere la vita di questi ragazzi sopportabile. Questa è stata una spinta enorme per entrambi.

Il mondo del calcio ha giocato un ruolo importante nella sua vita, sia per suo marito, ma anche per lei…
A me il calcio non piace. Io non sono una sportiva. La cosa paradossale è questa: ho sposato uno sportivo ma io sono l’anti-sportiva per eccellenza. E il gioco-forza è il mio mondo, invece. Lo è stato con Stefano, ma lo è ancora perché io faccio parte del mondo del calcio. È stata la nostra vita. Io ho approcciato questo mondo a quindici anni, ora ne ho cinquantuno e ancora ci sono dentro. Il 13 novembre andrò persino a vedere la Nazionale e a fare il tifo. Evidentemente il calcio ce l’avevo nel mio destino. E il mondo del calcio ha abbracciato Stefano e me. Ancora adesso che lui non c’è, trovo un grande affetto nei miei confronti. Da parte di tutti. Molta stima e molto affetto. Ed è una bella cosa, perché Stefano non c’è più e potevano dimenticarsi di me. E questo mi fa bene, perché quello era il suo mondo e io nel calcio ritrovo Stefano.

Riguardo al calcio, nel libro parla anche della relazione tra Calcio e SLA…
Quando Stefano si è ammalato, essendo l’ultimo di una lunga lista, il dubbio è venuto a tutti: il calcio c’entra con la SLA? La SLA è una malattia che non ha cura perché non si conoscono le cause, quindi sono tutte supposizioni quelle che si possono fare, perché se non ci sono dati scientifici non si può affermare nulla. È chiaro che molta gente si fa la domanda, perché è una malattia rara e che colpisce da una certa età. Si potrebbero fare degli studi più approfonditi, delle ricerche anche per curiosità, perché è un gruppo ristretto di persone e si potrebbero avere delle risposte interessanti per capire i meccanismi di questa malattia. I casi sono in tutta Europa. Sono morti molti giocatori in tutta Europa, non solo in Italia, però allo stato attuale non interessa molto rispondere. Purtroppo la triste realtà è questa.

Al centro di tutto c’è sempre l’amore. Il vostro amore è sempre stato vivo e acceso… In un’epoca in cui le relazioni di coppia sono così fragili, quale è il segreto per rendere un amore così duraturo e inesauribile?
Penso di essere stata molto fortunata. Anche noi eravamo umani, tutti hanno i loro problemi…Però credo che quando c’è l’amore, quello vero, quello che supera molte cose, tutto funziona. Poi io dico sempre che a Stefano oltre ad amarlo volevo un gran bene, che non è la stessa cosa. Sono due cose diverse che però io univo. Anche perché noi ci siamo conosciuti giovanissimi (io quindici anni, lui diciassette). Forse il segreto è stato quello: quando sei giovane sei così vero, così diretto…quando ci si lega così giovani ci si conosce molto bene e ci si amalgama anche molto bene. Forse da grandi è più difficile, perché ognuno ha una personalità magari già ben strutturata. E poi credo che non ci siano tante spiegazioni: è anche fortuna. Incontrare la persona giusta è fortuna. Alla fine credo che si tratti soprattutto di questo. Io ho incontrato la persona giusta.

Qual è il messaggio che vorrebbe arrivasse attraverso il libro?
Questo è un libro d’amore e di vita. Il messaggio che mi piacerebbe trasmettere è che, nonostante tutto quello che a tutti noi può capitare, la vita comunque vale la pena di essere vissuta. È un’avventura, è un viaggio. Io amo la vita nonostante tutto quello che mi è successo. È  senza dubbio un messaggio positivo quello che voglio trasmettere.

Lei è stata il Caregiver di suo marito. In questo periodo si parla di una proposta di legge sul Caregiver familiare…Cosa ne pensa?
Noi abbiamo presentato il libro in Senato e abbiamo parlato di questo disegno di legge che mette d’accordo tre senatrici di tre schieramenti diversi. Quindi questo vuol dire che è un problema di tutti. Ed è giusto, perché il Caregiver è la persona che si prende in carico tutta l’assistenza del malato (non solo l’assistenza materiale ma anche quello che sono i ricoveri, le medicine…tutto) ed è una persona che spesso deve lasciare il lavoro perché con malattie come queste l’assistenza deve essere h24. Purtroppo è un ruolo che non viene riconosciuto ma che dà alla comunità tantissimo: prima di tutto permette all’ammalato di stare a casa sua (la struttura che qualsiasi malato preferisce), poi fa risparmiare un sacco di soldi al Sistema Sanitario Nazionale (credo che i malati come Stefano possano costare parecchio). È una figura che dovrebbe essere riconosciuta e avvantaggiata. Già iniziare a parlarne è utile.

Oltre a questo, cosa si potrebbe fare per migliorare la condizione di un malato di SLA?
Un malato di SLA va seguito h24 e non c’è assistenza da parte del Servizio Sanitario Nazionale, che passa solo gli ausili (letto, comunicatore, sollevatore ecc.), tutto quello che è necessario a livello pratico, ma non passa un aiuto per l’assistenza. In questo modo le famiglie fanno una fatica incredibile per gestire un malato come era Stefano. E questo si ripercuote anche sul malato. Perché quando i familiari sono stanchi, hanno problemi economici, non ce la fanno, ci sono famiglie che scoppiano. Il modo migliore perché il malato riesca comunque, seppur nella difficoltà di questo tipo di malattia, ad essere relativamente tranquillo, è vedere tranquilli i suoi familiari. Anche solo l’avere coperte dodici ore con un’assistenza pagata, per le famiglie sarebbe un aiuto enorme. Perché permetterebbe loro di vivere, di seguire i figli e andare a lavorare. Anche perché di SLA ci si ammala sempre prima. E le famiglie, nella maggior parte dei casi, sono giovani.

Un’importante passo è stato poi quello di costituire La Fondazione Stefano Borgonovo ONLUS. Qual è lo scopo principale che vi ponete?
Noi cerchiamo di fare moltissima comunicazione. Io attraverso il mondo del calcio cerco sempre di richiamare l’attenzione (e molte occasioni sono buone per parlare di SLA), è una cosa che non fa mai male perché la Sclerosi Laterale Amiotrofica è una malattia che non fa grandissimi numeri e quindi rischia ogni tanto di essere dimenticata. Così, quando ho degli eventi mi accompagno a personaggi dello sport molto famosi e cerco di farne parlare. E poi cerchiamo anche di sostenere la ricerca, quindi di scegliere dei progetti e di sostenerli. Certo negli ultimi anni è diventato molto difficile perché la ricerca ha dei costi incredibili. Noi siamo una piccola goccia nel mare, ma quello che riusciamo a fare cerchiamo di farlo.

Qual è il prossimo appuntamento legato alla Fondazione?
Sto lavorando a una serie di cose. Probabilmente saremo con un bel progetto all’interno delle ultime giornate del calciomercato di gennaio.

 

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