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Le tribù dei "webeti"

 

Malati di social network: i profili tracciati da esperti italiani e stranieri

Nuovi media e narcisismo digitale. Una ricerca quantomai attuale in un’epoca «social-mente» zeppa di seminatori d’odio (o, più semplicemente, seminatori di idiozia).
Sull’ultimo numero di «Psicologia contemporanea» si dà conto di una ricerca italiana che, per la prima volta nel nostro Paese, affronta «il nesso tra l’autocompiacimento di persone che passano tante ore sui social network e il loro ridotto tasso di empatia verso gli altri».
Uno studio che conferma, integrandoli, una serie di studi internazionali con cui gli esperti hanno lanciato un allarme gravissimo: cattiveria, stupidità, razzismo sono le principali prerogative della maggioranza dei messaggi che circolano sul web. Gli autori? Quelli che Enrico Mentana ha etichettato con un neologismo già entrato nei vocabolari: «webeti», felice (o meglio, triste) crasi che identifica gli ebeti del web.

1. Il narcisista
I professori Ivan Formica (docente di Psicologia dinamica nell’Università di Messina) e Jessica Nucera (esperta in sostegno psicologico e in valutazione psicodiagnostica) affrontano sull’ultimo numero di «Psicologia contemporanea» il tema del «narcisismo digitale». Nell’articolo viene spiegato come le sue caratteristiche siano «onnipotenza, megalomania, egocentrismo, allentamento del senso della propria mortalità». Il campione scelto è costituito da 125 studenti dell’Università di Messina, di età compresa tra i 19 e i 30 anni e di genere sessuale prevalentemente femminile (37 maschi e 88 femmine). Dallo studio emerge un profilo inquietante: l’alessitimico. Cioè colui che, al di là del contesto virtuale, «ha difficoltà a comunicare le proprie emozioni e, in caso di disagio, non riesce a considerare l’altro come una fonte di aiuto». Insomma un narciso che nello specchio d’acqua di Facebook&C. vede riflessi solo i suoi clic. Gli altri? Invisibili.

2. L'onnipresente
Vive in funzione dei «mi piace» raggranellati su Facebook ed è profondamente convinto che le sorti del mondo si reggano, quasi totalmente, sui suoi post. Analisi e commenti «imperdibili» che, alla faccia della smaccata autoreferenzialità dei messaggi, fanno impennare l'autostima dell’utente cosiddetto «onnipotente»: un poveretto che, nella vita reale, conta poco o nulla e che, forse proprio per questo, si tuffa nel mare dei social cercando un improbabile bagno di autorevolezza. Ma, purtroppo per lui, l’esito rischia di essere completamente opposto: quello cioè di «vedere sbriciolarsi l'autocontrollo, sul web e fuori». L’effetto? Devastante: «Ritrovarsi ad accumulare chili e debiti». Non si tratta di terrorismo psicologico, ma il semplice monito che arriva dall'Università di Pittsburgh e dalla Columbia Business School che ha condotto uno studio online pubblicato di recente sul «Journal of Consumer Research».

3. Il disadattato
Maurizio Crozza con il suo «Napalm51» ha centrato perfettamente il problema: cioè quello del disadattato virtuale (anzi, terribilmente reale) che, ben celato nella capsula vigliacca del nikname, si vede circondato solo dai cybernemici che lo «assediano». Al contrario è lui, il disadattato, ad assediare gli altri perdendo completamente senso delle cose. «Abbiamo dimostrato che l'utilizzo dei social può avere un effetto negativo sull'autocontrollo delle persone», spiegano gli psicologi americani Andrew Stephen e Keith Wilcox, i quali hanno condotto cinque studi su un totale di più di 1.000 utenti di Facebook. «Le loro abitudini e l'impiego del social network - sottolineano gli esperti - sono stati attentamente monitorati, insieme a stile di vita, personalità e autostima». Risultato: il web-disadattato non esce mai di casa e va alla ricerca compulsiva di «manuali» che insegnino ad aumentare i like della propria pagina Facebook.

4. L'odiatore
Prendete un carneade che fa il travet in un ufficio della Regione Basilicata, dategli un mouse e vedrete che disastri riuscirà a combinare. È la storia decisamente squallida di questi giorni con un «funzionario» (ma quando mai?) della Regione Basilicata che ha gettato fango su Francesca Barra e il suo compagno, l’attore Claudio Santamaria. L’odiatore lucano si è giustificato dicendo che i suoi post erano solo «gossip». Sono seguite minacce, incrociate, di querele, anche se è probabile che tutto finisca a tarallucci e vino. Ma la casistica degli odiatori - in linguaggio tecnico, «haters» - è estesa a livello globale. Non c’è infatti vip o pseudo tale (dalla Boldrini, fino a scendere arrivando alla Lucarelli) che non si sia imbattuto in un social-odiatore. «Per un “signor nessuno“ - si legge in una ricerca condotta dall’Università di Firenze - attaccare un vip offre, di riflesso, un briciolo di notorietà». E per un hater «zero assoluto» è già un gran successo.

5. Il frustrato
Il frustrato digitale è parente stretto sia del disadattato sia dell’odiatore, ma con un «valore aggiunto» in più: la vigliaccheria di spacciarsi per quello che non è. Un finto leone che in realtà è un coniglio. «Vivono in regime di doppia personalità - spiega il professor A. Lowen nel suo report sulla «Identità rinnegata» -. Il web diventa la proiezione di come vorrebbero essere visti dagli altri». Un’aspirazione destinata ad essere, appunto, frustrata perché «anche dagli stessi post emerge con chiarezza ciò che loro davvero sono: vale a dire soggetti privi di personalità e spessore». E così per alcuni individui si passa da un banale divertimento/piacere a una vera malattia che può portare anche ossessione, depressione, disturbo dell’attenzione, dipendenza, ipocondria e disturbi di tipo ossessivo compulsivo. Come uno spacciatore, il frustrato digitale deve smerciare la sua dose quotidiana di offese. Altrimenti capirà di essere solo un fallito.

 

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