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Striscia la Notizia

 

Insulti razzisti contro la nuova velina nera

 

«Un ritorno alla bellezza italica». Tanto auspica il web caprone, la bocca ricolma di male parole, incuranti, tutte, della buona educazione e della differenza, affatto sottile, che separa l’italico dall'italiano. Quando, nel tardo pomeriggio di lunedì, l'inviato Luca Abete ha pubblicato sulla propria pagina Facebook la foto delle nuove veline, questa s’è fatta ricettacolo dell’ignoranza più bieca. Di un istinto demagogico, grottesco e caricaturale. «Il prossimo anno, per favore, due ragazze ariane», ha compulsato online un leone anonimo, puntando la propria spada virtuale contro Mikaela Neaze Silva, statuaria ballerina chiamata - insieme all’altrettanto statuaria Shaila Gatta - a sostituire Irene Cioni e Ludovica Frasca sul bancone di Striscia la Notizia.

Mikaela, il cui nome è sufficiente ad evocare una provenienza esotica, è nata in Russia, figlia ventitreenne di un medico africano e di una dottoressa afghana. La pelle, l’ha ambrata. I capelli, ricci al punto da sembrare indistricabili, biondi. «La bionda africana... Siamo ridicoli», ha battuto a piè di foto un anonimo utente, contestando la decisione di quanti, tra autori e produttori del tg satirico, si siano resi responsabili di averla scelta come velina bionda. «Si è persa l’identità nazionale per il politicamente corretto», ha replicato un altro coraggioso, ignaro forse di come il bancone di Striscia sia stato - sempre - lo specchio fedele del tempo presente, mai il succedaneo di una fucina progressista.

Striscia la Notizia, la cui trentesima edizione è pronta a debuttare lunedì 25 settembre, ha saputo negli anni farsi interprete delle culture in voga. Analizzarle, sottolinearle, sfruttarle e sbertucciarle, laddove necessario. Ha saputo anticiparne alcune sfumature, ma la propaganda, politica per giunta, quella mai s’è data la pena di farla. Tacciare, dunque, Antonio Ricci di piaggeria è cosa lunare. E lunare è mischiare alla polemica Matteo Salvini, l’emergenza di un lavoro che non esiste, un Palazzo per il quale mai la scelta delle veline - bionde, more, in carne o basse - dovrebbe rappresentare una questione di interesse sociale.

«Mikaela Neaze Silva toglie il posto a una delle nostre ragazze», ha scritto su Facebook un utente facendo eco a quanti lo sabato hanno criticato la terza classificata di Miss Italia 2017, la friulana di origini senegalesi Samira Lui, per il colore della pelle. La stessa concorrente ha anche polemizzato poi con il conduttore dello show, Francesco Facchinetti, per aver sottolineato l’origine africana. «Con questa velina negra, ogni volta che vedrò Striscia darò sempre più ragione a Salvini», ha scritto un altro, buono come chi lo ha preceduto ad eleggere il particolare ad universale, così da mistificare una realtà, quella televisiva, che sull’esaltazione della bellezza s’è retta sempre, giustamente ignorandone la provenienza geografica.

Mikaela Neaze Silva è la prima ragazza di colore, «per giunta bionda» da sua ammissione, ad aver fatto proprio il rango di velina. Ma nella sequela di donne straniere, divenute star in un Paese amante del bello, è solo l’ultima. Denny Méndez, dominicana, è stata, nel 1996, la prima Miss di colore. Nel mezzo si sono affaccendate decine di altre star. Quanto meno fino ad oggi, giorno in cui si è persa la brocca. Ché, come ha sottolineato online Andrea, «Quando il razzismo ostacola perfino la passione italiana per le belle figliole vuol dire che abbiamo oltrepassato di brutto la soglia del pericolo».

 

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