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Berlusconeide capitolo II

 

Le balle di Farina

Qualche mese fa, sugli organi di stampa principali, è stata diffusa un’intervista all’ex Presidente del Milan Giussy Farina, il quale ha sostenuto che il Milan gli sia stato sfilato in maniera impropria da Silvio Berlusconi.
Or bene, alla luce di siffatte corbellerie, reputo fondamentale, ancor prima di addentrarmi nel racconto delle grandi gesta del Milan berlusconiano, smentire e smontare completamente queste tesi figlie della falsità e della prevenzione, alimentate in maniera indegna da un pregiudizio politico che solo in un paese come l’Italia può trovare terreno fertile.

Il grande Mark Twain sosteneva che senza una diversità di opinioni non esisterebbero le corse dei cavalli.
Aveva perfettamente ragione. Ma, di fatto, dietro questa sua tautologica e forse banale affermazione, si nascondeva un principio economico imprescindibile: quello del libero mercato.
Le affermazioni di Giussy Farina si scontrano proprio contro il principio del libero mercato, in ossequio al quale quando c'è una trattativa vi è evidentemente una diversità di opinioni di partenza tra chi vuol vendere e chi vuol comprare.
Chi vende cerca di sopravvalutare il suo prodotto, chi compra cerca di deprezzarlo.

In qualsiasi trattativa di mercato il prezzo lo fa chi compra, soprattutto se chi sta per vendere è costretto a farlo in quanto sommerso dai debiti.
Farina si è lamentato di un eventuale scippo di Berlusconi ai suoi danni, orchestrato dalla politica.
Sono noti i rapporti di amicizia fra Craxi e Berlusconi, così come è nota l'importanza strategica che Fininvest diede all'acquisto del Milan, ma questi due dati di fatto non sono sufficienti a costruire un impianto accusatorio.
Anche perchè Farina, volutamente, trascura quelli che erano i fatti dell'epoca.

Nel 1986 infatti il capitale sociale dell'AC Milan era controllato al 65% da una finanziaria, Ismil, la quale a sua volta era controllata per oltre il 50 % da Fin Milan spa, della quale Farina deteneva il 40 per cento e Gianni Nardi una percentuale irrisoria.
Alla Ismil faceva capo la Milan Promotion, società pubblicitaria sempre controllata da Farina.
La magistratura, non Berlusconi quindi, scopre che c'è un passivo di bilancio di oltre 6 miliardi ed in più accerta che Farina ha utilizzato oltre 2 miliardi del bilancio del Milan per acquistare una società di Vicenza.
Scopre inoltre che ci sono miliardi di arretrati al Fisco per l'Irpef e che i giocatori non percepiscono lo stipendio da alcune mensilità.
In una situazione di questo tipo parlare di società appetibile sul mercato non è altro che un mero esercizio di fantasiosa retorica.

Berlusconi chiese, all'atto dell'inizio delle trattative, di poter vedere i conti del Milan depurati da qualsiasi inquinamento. Richiesta vana.
Come potesse stimolare l'interesse un club indebitato fino al collo, il cui Presidente fu costretto ad un certo punto ad andarsene all'estero per evitare l'arresto (questo Farina si dimentica di specificarlo, magari volendo far credere di essere andato all'estero per puro bisogno di relax personale) è tutto da dimostrare.

Inoltre Farina adduce che il parco giocatori del Milan aveva un valore molto alto e che Milanello da solo valeva 4 milioni.
Due bugie dette da chi mente sapendo di mentire.
In primis tutte le squadre interessate ai giocatori del Milan attendevano appollaiate il fallimento della società per prenderli a costo zero o comunque attendevano un quasi fallimento per prenderli sottocosto.
Nessuno, in un regime di libero mercato, acquisterebbe un giocatore al suo reale valore, sapendo di poterlo prendere facilmente a pochi spiccioli a distanza di qualche mese.
Le offerte di cui parla Farina non sono documentate.
Nè Mantovani, nè Boniperti, né Pellegrini, erano talmente stupidi da sprecare denaro.

La seconda bugia, su Milanello, è davvero comica. Milanello infatti è invendibile.
Anche valesse 100 milioni di euro non si potrebbe mettere all'asta.
Quando Andrea Rizzoli, negli anni 60, lo fece costruire, impose che nell'atto di donazione dell'intero complesso all'AC Milan, fosse evidenziata una clausola: Milanello non poteva essere venduto a nessuno al di fuori della Federcalcio.

Il primo atto, non da presidente bensì da proprietario, di Silvio Berlusconi, fu il pagamento di oltre 6 miliardi di lire alla Ismil.
Successivamente vi fu un aumento di capitale per oltre 10 miliardi.
Berlusconi inoltre non solo non vendette alcun giocatore dei tanti talenti che aveva il Milan, ma addirittura fu costretto a saldare tutte le pendenze che Farina aveva, per casualità, non saldato.
Dovette pagare quasi 4 miliardi di debiti di sola IRPEF non pagata, fu costretto a saldare gli stipendi arretrati dei giocatori del Milan e dovette versare le ultime rate dell'acquisto di Hatley che Farina non aveva onorato.
Si sussurra che Silvio dovette saldare addirittura due anni di debiti del Milan col macellaio che forniva la carne a Milanello.
E a giugno 1986, non pago di tutto, Berlusconi mise mano al portafoglio rinforzando la squadra, spendendo oltre 24 miliardi delle vecchie lire per acquistare giocatori importanti come Giovanni Galli, Massaro e Donadoni.
Insomma decisamente cifre e dati non consoni a sostenere che il Milan a Fininvest sia stato uno scippo a Farina.

I tifosi del Milan che, per ragioni extra calcio, non hanno in simpatia Silvio Berlusconi, dovrebbero riflettere su queste cifre, su questi dati e su cosa era il Milan prima di Silvio Berlusconi.
Non si potrà mai essere uomini completi nella vita, senza prima avere piena cognizione della propria storia, di cosa si è e, soprattutto, da dove si viene.

...alla prossima con "Il ciclo di Sacchi"

 

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