"Pietro" III da Žilina
La storia, il campione, l'uomo. Ora cosa dirà Beppe Conti?
Inutile stare a dilungarsi troppo sulla cronaca dei 267,5 km di corsa del Mondiale di Bergen, tanto sappiamo tutti fin troppo bene com'è andata. A grandi linee è stato un film già visto a Doha l'anno scorso e a Richmond due anni fa. Belgio, Olanda e Italia che controllano la corsa in attesa di sparare le cartucce migliori, magari piazzano un uomo nella fuga giusto per avere un riferimento nel caso la corsa con un "golpe" inatteso esplodesse, e quando si decide di fare sul serio forti della convinzione di avere tutto sotto controllo si finisce per sottovalutare Peter Sagan, uomo con appena un gregario, suo fratello, a cui non può andar sempre bene. Ed invece ancora una volta lo slovacco sfrutta il lavoro di mezza Europa ciclista e piazza spaccando in due il bersaglio l'unica cartuccia a disposizione. Tris!
Guardando in casa Azzurra, inevitabile dire che abbiamo riprovato ancora una volta a cavare il sangue da una rapa e che quasi quasi c'eravamo pure riusciti. Matteo Trentin era li a giocarsi lo sprint finale in mezzo ai velocisti puri, giungendo quarto al traguardo, appena dietro a "Sua Eccellenza" Peter Sagan, Alexander Kristoff che tra l'altro correva anche in casa, e Micheal Matthews, al secondo podio mondiale consecutivo e che prima o poi colpirà il bersaglio grosso. Gianni Moscon è l'uomo del futuro, speriamo, autore di un'altra grande corsa, salvo poi essere squalificato per traino.
E' per questa ragione forse che talvolta noi italiani nelgi ultimi anni siamo particolarmente sconfortati e rammaricati.
Il grande giornalista Beppe Conti, vera enciclopedia vivente del ciclismo, in occasione del Mondiale quatariota dello scorso anno, tramite le pagine di Bicisport aveva lanciato una provocazione: "Peter Sagan è un grandissimo ma non sarà mai un campionissimo ai livelli di Hinault, di Bugno, di Merckx, di Gimondi". Questo perchè Sagan potrà vincere Mondiale, Sanremo, Fiandre, Roubaix ma non sarà mai in grado di vincere anche una Liegi, un Lombardia o un Grande Giro di tre settimane. Concetto che apparentemente fila, ma che snocciolandolo il minimo indispensabile secondo me, il primo a sapere che non regge è proprio Beppe Conti.
Sagan è un classe 1990, 28 anni il prossimo gennaio, e per l'età che ha di vittorie potrebbe già vivere di rendita, ma non sarà il suo caso. Si trova nel pieno della carriera agonistica e conoscendolo caratterialmente non ci sarebbe da stupirsi se un giorno cambiasse registro, abbandonando il "pavè e buttandosi sulle Ardenne o puntando ad un Giro di Lombardia. Ma a che pro? Non ne ha bisogno, e se un giorno dovesse farlo è giusto che lo faccia per cercare nuovi stimoli e non perchè dovrà dimostrare qualcosa. Più o meno come è successo a Michele Bartoli che ha scoperto la Parigi-Roubaix alla soglia del ritiro.
Peter Sagan non è uno che va paragonato, ma diventa lui stesso ora uno a cui paragonare altri. Il concetto non è più se Sagan vincerà mai oltre al Fiandre anche una Liegi come ha fatto Bartoli o un Giro d'Italia come ha fatto Bugno. Ma ora è se ci sarà un ciclista del futuro a vincere tre Mondiali di fila come Peter Sagan, o cinque Maglie Verdi consecutive al Tour de France come Peter Sagan.
Accettasse di diventare un altro tipo di corridore smentirebbe anche il personaggio spontaneo, diverso e mai banale di cui tanti appassionati ne hanno fatto un idolo. Perderebbe quella spontaneità dell'uomo che un metro dopo aver scritto la storia gli fa dedicare la la sua vittoria più importante a Michele Scarponi, ravvivando il ricordo in tutti noi alla vigilia del suo compleanno.
Un uomo adottato dal Veneto, cresciuto a Marostica, con un cognome a cui andrebbe spostato solo l'accento sull'altra "a" per essere perfetto. Per un Pietro "Sagàn" il CT Davide Cassani farebbe carte false, è il prototipo di ciò che manca alla nostra Nazionale, uno così ti riporterebbe in linea con la media di vittorie dell'era Martini-Ballerini, e uno come Beppe Conti lo sa fin troppo bene.