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Un film già visto

 

 Va a finire purtroppo come non avremmo voluto e come speravamo non accadesse. Fabio Aru ancora una volta dopo i primi dieci giorni in una grande corsa a tappe fatti a spron battuto, cala alla distanza gettando per aria tutte le buonissime chances di trionfare guadagnate per strada nelle prime tappe. Ci stavamo credendo davvero e da tifosi fin troppo di parte lo stavamo facendo anche di più del razionale. Ma già nel pezzo dove sintetizzavamo quanto successo nella prima parte della corsa francese, che vedeva Aru con una gamba esagerata e la maglia gialla addosso, avevamo sollevato il punto interrogativo sulla durata di cotanto stato di grazia.

 

Ci ricordiamo del Giro d'italia del 2015 vinto da Contador, della tappa di Imola e della crisi il giorno del Mortirolo, dove il corridore sardo riuscì a limitare i danni anche grazie ad un gregario, Mikel Landa, che a mio giudizio era in quella corsa il corridore più forte. In quell'occasione la colpa della crisi fu data al virus intestinale ripresentatosi nel bel mezzo della corsa dopo averlo colpito un mese prima al Giro del Trentino.Ci ricordiamo del Tour dello scorso anno. Ottimo fino a tre tappe dalla fine, ma finito in maniera disastrosa con la crisi sconcertante dell'ultima tappa alpina prima di Parigi. Colpa della crisi di fame, inesperienza.                                                                                                                                                                                    

E quest'anno? Maglia gialla, vittoria alla Planche des belles Filles, sprint lanciati in faccia ai cacciatori di classiche e identico declino nelle ultime tappe. Stavolta almeno il quinto posto dovrebbe essere al sicuro, se non altro l'esperienza gli sarà servita a qualcosa. Ed anche qui pronto il paracadute. "Bronchite, è già tanto che non si sia ritirato".

Ora, io sono un grande tifoso di Fabio Aru e il primo ad esaltare le sue qualità eccezionali. Ma qualcosa non quadra. le coincidenze son troppe affinchè possa mettermi l'anima in pace e dare tutta la colpa alla sfortuna che puntualmente ogni anno si ripresenta. Con questo non voglio dire che non credo al virus o alla bronchite, per carità. Ma qui le cose son due: o i preparatori steccano puntualmente nel portarlo al picco di forma troppo presto oppure Fabio si fida troppo della sua gamba e gestisce male le energie nell'arco di 21 tappe spendendo troppo all'inizio e ritrovandosi vuoto quando c'è da menare davvero. Se a questi due motivi ci aggiungiamo una squadra praticamente inesistente ecco come essere competitivi fino all'ultimo diventa praticamente impossibile.

Mi direte, ma la Vuelta vinta nel 2015? E' vero, li Aru riuscì a trionfare. Ma attenzione, anche li nelle ultime tappe non era sicuramente un fulmine. Ad una tappa dalla fine la maglia rossa ce l'aveva Tom Dumoulin e se non fosse per un'azione di squadra (di tutta la squadra) nell'ultima tappa a scalfire l'olandese che era ancor più inesperto di lui e che correva solo contro tutti sin dal primo giorno, forse non sarebbe andata com'è andata.

Tre tappe da qui alla fine del Tour 2017 tra cui una fastidiosissima cronometro in cui difendere un quinto posto che non è oro ma nemmeno carta straccia. Per quest'anno ormai è andata, il prossimo ci riproverà, e magari non nell'Astana.

 

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